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Vincenzo Schilirò

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Vincenzo Schilirò, Educatore e Letterato

(Bronte 1883 - Catania 1950)

di Nicola Lupo

5 . L'itinerario spirituale di Ada Negri


LA POESIA DI ADA NEGRI

La prima fase della poesia di Ada Negri (poesia amara, spinosa, ribelle, inchiodata a motivi di ansia e di malcontento) rap­pre­senta lo «spirituale e materiale disagio che tormentò la giovinezza della Poetessa».

Ma per lo Schilirò ciò è prodotto di fatalità perché «nessuno nasce preparato e ben corazzato contro la vita, quale essa è: duro pellegrinaggio».

Senza quegli stenti e quel sudato aspro allenamento, prima nel bugigattolo di Lodi e poi a Motta Visconti, molto probabil­mente l'anima della poetessa non avrebbe avuto «la tempera di realismo e di fierezza che contraddistingue la sua lucida arte».

[Ada Negri] ebbe la fortuna, piuttosto rara, di superare con onore le prove degli stenti e delle delusioni, e di raggiungere [...] la sua invidiabile posizione. Sembrò che la gloria - meno restìa della giustizia sociale - rispondesse subito e con slancio alle aspirazioni della giovane Ada. Il suo primo volumetto, Fatalità, una cinquantina di liriche scritte fra i diciotto e i vent'anni, destò un insolito rumore [...] atterrò l'attenzione dei critici [...] e indusse il ministro Zanardelli a nominarla professoressa ad honorem, trasferendola in una Scuola Normale di Milano.[1]

Non solo. Nel 1894 le veniva aggiudicato il premio Milli di Firenze con una motivazione, sottoscritta da Isidoro Del Lungo, Alessandro D'Anco­na e Marco Tabarrini, che fra l'altro dice: «Fatalità è un libro notevole per immediata e gagliarda intuizione del vero e per intima apprensione del sentimento umano: poesia [...] nutrita di dolore, sa [...] sollevarsi a idealità [...] tranquille, [...] illuminata dalla fede di un ordine di giustizia suprema e di carità universale». Ma «la Congregazione dell'Indice[2] di Fatalità condannava lo spirito turbolento».

Con la seconda raccolta di liriche, Tempeste (1895) il successo e la popolarità si allargarono e consolidarono. E lo stesso Giosuè Carducci disse: «Et erunt novissimi primi [...] ben vengano le donne» (1896).

E la fama si diffuse anche all'estero, dove «traducevano in tutto o in parte le due raccolte».

C'erano degli assenti nel gran coro laudativo. Fra i cattolici conservatori (intendo quelli [...] pei quali anche la democrazia cristiana rasentava il modernismo ereticale) prevalse il silenzio: ché quella monella [...] appariva una temibile rivoluzionaria [...] Onde i paladini del quieto vivere, tuttora preoccupati dalle parole sommoventi di Leone XIII, borbottavano qualche motto di riprovazione. [...]

Né fra i letterati della borghesia liberale [...] mancarono acri opposizioni e chiassose polemiche [...] ispirate da settarismo di tendenze [...] saltando a piè pari la schiettezza del sentimento, la nobiltà dei motivi profondamente umani e il calore dell'ispi­razione [...]. La verità è che un abisso separava la concezione del mondo liberale e conservatore e la fede democratica della giovane [...]. Mentre per l'agnosticismo estetico liberale la forma era tutto, per la Negri la vita trascendeva tutto e proce­deva verso la redenzione sociale. [...]

Indubbiamente la passione la portava a vedere tutto nero, a caricare le tinte, ad esagerare i fatti. Esagerazioni che la stessa Poetessa in Stella Mattutina denunziava e si rimproverava. [...] Al di sopra di tante manchevolezze, brillava tanta luce c si effondeva tanto calore. [...]

Fin d'allora c'era nella Negri «un tormentoso bisogno d'evasione, che è il contrassegno delle anime grandi». In fondo alla sua anima ella avvertiva chiaramente che il chiasso che si faceva intorno al suo nome non era la fama e non era la gloria sognata [...] Ella sapeva, più e meglio dei critici, che ben altra voleva essere la sua poesia. [La prima faccia della gloria]

L'amore fu la terza illusione.

Vuoti e presuntuosi classificatori della poesia sostengono che la Negri esordì con atteggiamento romantico (alla Byron) [credendo] di aver trovato, in tale atteggiamento, [...] il vizio o il lato debole dell'illusione amorosa della Poetessa. Nulla di più inesatto.

Il gagliardo e profondo sentimento della giovane non fu mai sentimentalismo [...] malattia del cuore e dell'animo. Come non erano fantasie di cervello malato le ingiustizie sociali e il brontolante odio di classe, così, per la ragazza che s'accostava alla improrogabile fioritura della vita, non era cardiopalmo romantico il bisogno dell'amore: ma legge, maliosa ed indeclinabile, di natura. [...]
La realtà è quella che è. Abbranca e dòmina senza cautele e senza riguardi [...}. E Ada si chiedeva: «Perché non si può essere né donna né uomo, ma un semplice spirito? »

Lo sanno tutti che la vis estetica di Ada Negri non risiede nella esuberanza fantastica, ma nella luminosa chiarità e nella stupenda naturalezza e precisione di contorni, di cui si suole dar merito all'arte classica.

La Negri, temperamento sensibilissimo ma del tutto normale, si era fatto un concetto dell'amore che [...] rispondeva pienamente alle esigenze della natura. Sangue di popolana ardente e fiero [...] vagheggiava uno sposo operaio [...] e, malgrado tutto, non riusciva a far tacere la poesia e il desiderio di un focolare tutto suo [...] troppo la giovane si sentiva sola e stanca e disanimata perché potesse far a meno di un compagno di viaggio [...] e c'è da crederle quando lamenta: «lo muoio per nostalgia d'amor».

E fiorì anche per lei la magica amorosa illusione [...] ma l'amore fu assai presto per Dinin una terribile delusione [...] perché inciampò in un ma­trimonio inopportuno, affrettato e disgraziatamente infelice. Lei, la nemica dell'industrialismo profittatore, divenne la moglie di un autentico indu­striale. Sbaglio enorme, per l'una e per l'altro. Era [...] l'agguato dell'uomo inferiore. E si sa che vittorie son quelle di Eros quando, alla transa­zione di codesta bassa umanità, rimangono straniere ed avverse le anime. [L’amore]

Non si riflette abbastanza qual benefica parte rappresenti la fantasia nella vita umana e qual significato misterioso abbia il continuo duello fra la realtà che demolisce a la nostra immaginazione che dipinge [...] lo scenario dell'esistenza. Si discopre, ogni giorno, un trucco e una miseria? Avanti, avanti sempre! Vuol dire che non si è ancora arrivati!

Del sognato, nulla o ben poco. L'amore? È fede, è dedizione: ma soprattutto comunione di spiriti [ma] l'industriale e la bollente giovane si rivela­rono subito due anime fra loro estranee. Mancò purtroppo la somiglianza. Intercorreva anzi fra i due una enorme distanza di carattere, di ten­denze e di educazione. [... ] Senza l'apporto della formazione religiosa, tanta distanza umanamente non si vince [...] anche vano fare assegna­mento sulla sola fedeltà coniugale [...].

Così per l'industriale [...] Ada riaffermava, ogni giorno più, la esuberanza e l'indipendenza del suo spirito, proteso sulla vastità di un mondo tutto suo; e per la poetessa [...] il marito si svelava signore insoddisfatto [...] non può esserci fede dove manca la comprensione e la comunione.

Sventuratamente il dramma precipita [...] nessuna veniva di tutte le cose sognate. [...] Possiamo ritenere che sarebbe scoppiata su di lei la folgore della demenza, se, nel naufragio delle sue maggiori idealità, la donna non si fosse potuta stringere ad una piccola e miracolosa tavola di salvamento: la maternità [...] miracolo veramente: ché dal mistero del suo grembo la delusa può ora attingere non soltanto la forza della resistenza, ma anche nuovi e freschi zampilli di poesia.

Se la lusinga dell'amore è fallita, il frutto dolce-amaro di quel sogno è, in lei, vitale e cantante. [...] E appena l'evento si compie, la sposa tribolata dimentica tutte le sue amarezze e canta smagata: «il mio cuore in lei trovò la pace». E se ancora si domanda «tutto dunque fu vano?» la madre può rispondersi, convinta: «No c'è la bimba del tuo amore [...]. Nella figlioletta s'intravede perfino la pacificatrice di due anime». Nell'ambito estetico il guadagno non è minore. La maternità diviene il motivo corale di una più lunga e complessa ispirazione.

Nel tormento delle proprie viscere e nella gioia che le dà il miracolo della fecondità, la Negri patisce e canta lo spasimo, l'ansia, il tremore, la festosità di tutte le madri del mondo. Il suo canto si amplia [...] e rende la grandiosa compattezza orchestrale di quella poesia che accompagna la vita, eterno e rifiorente dono del Signore.

Sfilano in Maternità, ben compresi dal lettore, gli innocenti sorrisi della culla, l'eroica forza della pregnante, il supplizio della gestazione [...] la sventura [...] che uccide genitrice e bimbo, [...] l'ignobile delitto del figlio, la tentazione della madre di andare a raggiungere il figlio, la stoltezza della donna mondana, la orrenda viltà di colei che [...] depone e abbandona sulla strada il frutto del suo amore, il tenace affetto della zingara, la suggestiva potenza del focolare, la placida e pregante serenità dell'ava [...] e anche l'inviolata e sacra maternità delle compazienti anime religio­se, e perfino la fecondità delle lotte sociali [...] e l'aspettazione fiduciosa di un Natale di redenzione collettiva.

A chiusura del maestoso concerto corale [...] irrompe il finale Madre Terra, vibrante di quell'amore e di quel culto della natura che nella poesia della Negri è caratteristica saliente. [Maternità]

Fu gran sollievo, per la naufraga, il dono provvidenziale della maternità. [...] La Negri capì ben presto che la maternità arricchisce, ma non annul­la, la personalità della donna. Infatti risorgeva in lei il vecchio tormento: «cercare per ritrovarsi». Bianca era parte di sé: anzi se stessa. Ma un'altra se stessa, distinta e già staccata. Ricca di esperienza, la madre può indicare la buona strada alla figlia, ma accompagnarla non può che coi soli voti augurali. [...]

«lo - amaramente aggiunge - nella crescente ombra m'arretro». Nell'anima della Poetessa le ombre infatti salivano, dense di procella. La mater­nità l'aveva sostenuta: non redenta. Ce lo dicono le liriche Dal Profondo, nelle quali il noto tormento si manifesta più crudo e più complesso. [...]

Il nuovo svegliarsi della Negri alla delusione e dentro la gabbia della sua affliggente solitudine è un motivo tutto proprio e tremendamente reale. Sposa che ha e non ha marito, e madre sì, ma conscia della solitudine che aspetta le madri col tempo, essa si sente più infelice. [...] Perché [...] lei, immutabilmente zingara nell'anima, aveva porto le mani a quelle catene infrangibili che sono i braccialetti d'oro e la fede nuziale? [...]

E, per evadere dalla sua prigionia, darebbe forse ascolto ad una brutta tentazione, se non si sentisse trattenuta da un «dolce laccio». E qui non è inutile domandare a quelli che, per ignoranza, parlano di conversione religiosa della Negri [...] chi avesse abituata la piccola Bianca al segno della Croce. [Ma] un più sottile ed invisibile laccio, oltre la figlia, teneva avvinta l'infelice donna alla vita. Vedi Ritorno a Motta Visconti, una delle più belle e sincere liriche di Maternità.

Anche se non finita, dal 1904 al 1913 la umanità della Poetessa, è allo sbaraglio dei più sanguinosi contrasti. Mortificato l'orgoglio della sua indipendenza, avvelenata la gioia di essere madre, discussa da taluni con poca serenità la sua opera letteraria, deluse le speranze più fondate e lusinghiere.

«Destino?» Pare che una volta essa lo intraveda nel mistero delle pupille di un cieco questo inesorabile tiranno della sua vita. [...] Qualche altra volta teme di non possedere la sua reale personalità, né: quel divino suggello che chiamano spirito. E si domanda perplessa: «ma hanno le donne un'anima? e per quali radici si alimenta la loro sofferenza?» Per lei è troppo fondato il sospetto che la femminilità sia uno stato di umiliante servaggio, e che le passioni siano sferze irresistibili. Rammentate quel che confida a suor Nazarena. [...] Ha bisogno di pregare; ma sente che la sua fede vacilla.

Vacilla? l'abbandona veramente? NO: è inesatto che la fede, negli anni più torbidi, le fosse venuta meno. Le dormicchiava invece latente, mortificata dalle illusorie idealità di cui abbiamo discorso. [...] E quel suo provvisorio smarrimento era la logica conseguenza dell'accennato errore di prospettiva, comune del resto alla maggioranza degli uomini, che guardano le situazioni mondane come per sé stanti e staccate dall'ingranaggio del problema eterno. [...]

Per poco ch'ella avesse approfondito la sua indagine in senso religioso, avrebbe senz'altro individuato l'immanente contrasto della sua coscien­za. Che era nella sua anima e nel suo sangue. Per lei era vergognoso affronto sentirsi legata ad un uomo, con cui spiritualmente non aveva nulla in comune. E tanto più quel legame la umiliava, quanto più spesso le appariva verniciato di finzione e d'ipocrisia sociale. [...] E’ innegabile che l'orgoglio della donna non ricalcitrava soltanto contro la padronanza che l'uomo presumeva d'avere sul corpo di lei, ma anche, e con maggiore violenza, contro l'impossibilità di sciogliere la propria anima dai ceppi della carne. Ella sentiva insomma di essere prigioniera e schiava di una situazione in cui si era cacciata da sé, ma per effetto di un'altra più temibile servitù, della quale il suo corpo portava perenne­mente il suggello infamante.

E’ del resto evidente che il problema centrale della vita si definiva, per la Poetessa, in un problema di umanità e di benessere. (Vedi Il Mistero) [...]
In uno dei momenti fugaci e ristoratori di scopre in sé la Samaritana, donna quanto peccatrice altrettanto semplice [...] ma anche «lei ha biso­gno di rinascere alla semplicità e al candore dello spirito». [Dietro le sbarre]

Non bisogna temere. Era anzi necessario stringersi con lieta fronte il «cilicio nascosto», sopportare virilmente i flagelli che le rigavano «la carne fragile» e beversi in silenzio le lacrime della purificazione. «Ma la logica umana le suggeriva il contrario: perché patire senza rivolta?» E la povera donna diede ascolto alla logica umana, secondo la quale tre sole strade le si aprivano dinanzi: o evadere, o eliminarsi, o impazzire. Delle tre, la meno peggiore era l'evasione.

E l'evasione meditò per anni la prigioniera insofferente. Passo rischioso e penoso: ché la sentinella più vigile ed inesorabile era la bimba, con i suoi diritti e con la sua innocenza. Aspettò quindi paziente: ingoiando veleno. E, quando Bianca fu in grado di emettere il suo verdetto di condan­na o di assoluzione, si appellò a lei; e lei, dodicenne, l'assolse con questa formula: «Voglio stare con te». E via, due pellegrine, per terra straniera, a Zurigo, con indosso un fardello schiacciante di solitudine e di amarezza: la figlia in mezzo a gente nuova. Quella gente accolse, con fiori, con feste e con viva cordialità «la voce più forte della poesia femminile italiana».

Lontana dalla patria e dalla «menzogna», la Poetessa si sentì rinata: riposo, «distensione di nervi e di spirito», senso di una vera e propria convalescenza». Nella libertà ella saluta il dono più grande del Signore. [...] Ma «a colloquio con la sua anima, non sa nascondersi [...] certi timori e certe titubanze». La ferita, tuttora sanguinante e spasimosa, era stata assolutamente necessaria [...] e contro la solitudine [...] la ribelle aizza il suo nativo orgoglio [...] ma poiché il silenzio [...] le cinge e le strina l'anima, ella si conforta pensando che chi «di silenzio si fascia è simile a Dio». [...]

Ma l'orgoglio è una frenesia passeggera [...] infatti l'esiliata si arrende [...] dicendo «È questo dunque il tesoro malioso della libertà? [...] e dopo? Non ci sarà dunque mai l'arrivo finale e ristoratore?» Solo la poesia le è di gran conforto in terra straniera, ma per poco: «ché la malia del canto dura quanto dura «l'inganno d'un sogno» [...] Perfino l'umanità dei compagni di viaggio è a lei divenuta fonte di amarezza.

La donna, lontana dalla patria, che ha piena coscienza di aver combattuto la più bella, la più generosa, la più civile battaglia a favore delle classi lavoratrici, comincia ad avvertire, nel nuovo clima politico pregiudicato dalla doppiezza del socialismo internazionale, i primi segni della diffidenza e del motteggio. [...]

Così alla ribelle non resta che capitolare [...] ma non soltanto di compagnia e di amore la «solitaria» ha bisogno [...] e giunge alla conseguenza che nulla quaggiù risolve adeguatamente il problema della vita umana [...]. A furia di esperienze e di meditazioni ha già appreso che, quando manchi la luce interiore, l'esilio non fa distinzione di confini, e si è proscritti su qualsivoglia terra. [...]
[Ma] una risposta esauriente sembra che venga in bocca alla pellegrina: «Dio»; infocato e sincero accento; ma per ora la fede della Poetessa è una fiaccola sotto il moggio.[Esilio]

Una delle prime folate di quel turbine devastatore che fu la guerra europea investì la Negri come il vento investe i fuscelli privi di sostegno, la strapazzò perché era italiana ed italianamente sentiva, e la ributtò, direi di peso, nel tumulto della metropoli lombarda. L'esule tornava in patria con una nuova deprimente esperienza [...] le sue giovanili idealità erano crollate e con esse le ultime speranze [...] e le parole diritto e giustizia erano una perversa beffa. [...]

La grande causa umana si frantumava in interessati contrasti nazionalistici [...] e neppure l'arte le si presentava più come una missione.
Un bel gioco, la poesia. Un passatempo da uomini privilegiati e da gran signori. Che figura facevano adesso i quattro volumetti elzeviriani della Negri (povera musa in grembiule da fatica, come, una volta, la mamma operaia) davanti alle aristocratiche preziosità dannunziane ed agli idillici pigolii pascoliani?

Nel «Secolo» e nel «Marzocco» cominciarono ad apparire, in quel periodo procelloso, pagine di prosa della Poetessa: pagine asciutte ed inci­sive che [...] si decise a raccogliere e pubblicare sotto il titolo Le solitarie». Il libro fu per tanti una rivelazione. Senza la rigidezza della uniforme metrica e libera dalle scorie del retoricume giovanile, la Poetessa sembrava un'altra [perché] alla vastità dell'antico orizzonte sociale aveva sosti­tuita la modestia della singola personalità [...] più ricca di vita e di parti­colari. Al tono declamatorio e fiducioso della prima poesia era subentrato un senso di crudo e pessimistico realismo. [...]

E si concludeva che la Negri, denunziate le sue ideologie e le sue speranze, si era messa sulla strada buona e normale. [...] ma era un com­plimento?

Fra i tanti recensori del libro [...] un uomo di eccezionale penetrazione e di assoluta onestà critica, P. Giovanni Semeria, in Vita e Pensiero scriveva così: «Ha ella, Ada Negri, perduta a poco a poco per una ventenne esperienza la fiducia in quei rimedi sociali che le parvero in sui suoi vent'anni così sicuri? o ha trovato sociali e individuali miserie a cui non c'è farmaco umano da ultimamente proporre? Forse le due cose sono vere ad un tempo. L'Ada Negri di Solitarie è meno socialista dell'Ada Negri di Fatalità e di Tempeste: è addirittura più pessimista».

Io credo di potere aggiungere che i motivi spirituali della Negri «meno socialista» (e sarebbe più esatto dire «meno illusa») nel nuovo libro non sono scomparsi. Sono invece latenti perché più approfonditi. [...]

In lei vive ancora Didin con la sua «semplicità ingenua» che è la forza e la nobiltà della Negri [...] in una prosa energica, aperta, stagliante con la nettezza dello scalpello. [...] Voi avvertite nettamente che la narratrice nell'atto stesso che riversa e riflette sulle figure e nelle scene il suo amarume e il suo disinganno, non rinnega la sua fede nell'avvento di una migliore umanità. [...] Essa pensa che la sua solitudine interiore avrebbe potuto non essere.

Le Orazioni che appartengono al periodo centrale della sua vita (1915-1918) e rievocano tre eroi scomparsi, concorrono ad illuminare l'ani­mo della Negri. Animo non mutato, sebbene notevolmente modificato. Cioè arricchito di utili esperienze. Fatto più equanime e più reali­stico. Ma immutabilmente fedele al vangelo della umana fraternità. In Alessandrina Ravizza ella tratteggia il più alto modello della donna votata alla causa del riscatto economico e morale dei diseredati [...] dandole il fervore delle sue idealità. In Luigi Majno la Negri esalta l'uomo mite, sincero, fattivo, evangelicamente benefico. Fiducioso in un sogno che era stato il sogno di lei.

Luigi Majno costituiva la base ed il centro del cenacolo. «Egli odiò come aveva amato: e quell'odio era, tuttavia, amore.» Stato d'animo che riflette l'animo della Negri. Dove dovunque, la rinunzia alla poesia dell'apostolato sociale?

[Tuttavia] un senso più aderente alla realtà comincia a guidare la Poetessa. Sebbene persuasa della inumanità della guerra, ella comincia ad ammettere onestamente che la guerra è purtroppo indeclinabile [...] e valuta ed esalta la grandezza dei giovanissimi soldati che, come Roberto Sarfatti, si immolarono ai confini dell'Italia. [...] Morirono perché ritorni a vivere, nei cuori degli uomini, la bontà. Perché dagli uomini non venga più tradita la legge della carità. [Solitudine insidiosa]

La prima opera poetica della Negri che valse a convincere anche i guardiani più restii e casosi della letteratura fu Il libro di Mara: poesia originalissima, nonostante l'antidiluviana vecchiezza del tema amoroso. Poesia vera, audace, calda, ignivoma; ma anche [...] poesia inquieta, triste, monodica, a larga preponderante risonanza passionale. Comprendiamo che l'implorazione: «Mara, sorella, perdonami!» non a Mara solamente è rivolta, ma alla sua stessa umanità. Alla nostra umanità: ché Mara è sorella sua e nostra: ricettacolo di ebbrezze e di miserie che si vorrebbe cantare e insieme nascondere. E a quella implorazione leghiamo il nostro giudizio.

Il libro di Mara è un'estrosa confessione di amore – di un amore brevissimo e sventurato - i cui sfoghi hanno la potenza della schiettezza e della realtà vissuta, dell'esaltazione passionale e della ingenuità infantile. I suoi aneliti sanno più di spasimo e di tragedia, che di sensualità e di ebbrezza. La ribelle [...] rievoca la sua piena dedizione con l'impeto e con l'accento acceso del Cantico dei cantici, dando un senso che direi mistico al suo amore, quasi lieta di ripartirlo nelle sue frasi più acerbe e tormen­tose. lo non conosco opera in poesia che, come Il libro di Mara, traduca con tanta effusione lirica e con altrettale scarnitura di particolari e di espedienti visivi il divampare della passione. [...] Delirio di sensi che si fa delirio di anima.

L'abbandono è [...] il pernio dei lamenti di Mara. Alla donna solitaria l'illusione aveva ordito un secondo e più nefasto tradi­mento [...] ma la visione del signore entrato improvvisamente nella sua casa, si era dileguata così presto [...] che l'infelice s'illuse che le sarebbe bastato il ricordo [...] altro disinganno. «Contro l'inganno della fantasia si erge inflessibile la realtà» che evoca uno spettro bieco e si profila la follia. E, allora, meglio dimenticare, meglio morire. Morire? E si spegnerà la sofferenza? Taceranno i rimorsi?
Il diapason del Libro di Mara culmina in una desolata tristezza, che suggella la rievocazione del violento dramma passionale. Solamente a chiusura dell'opera filtra [...] un filo di speranza vaga. Molto vaga. Per cui possiamo concludere con l'autore, che questa è «poesia della notte e della solitudine». Ed è codesto il lato debole che la Poetessa ha istintivamente avvertito e denunciato con quella implorazione redimente: «Mara, sorella, perdonami!». [Mara, sorella perdonami!]

Il Libro di Mara era stato un «magnifico documento di sincerità umana e poetica che, al suo apparire, suscitò un vasto coro di ammirazione [...] ché vita e poesia erano per lei una cosa sola» [...] quindi cercava di «ritrovare e riscoprire» se stessa, perciò bisognava «mettersi in cammino». La prima tappa di codesto viaggio salutare è Stella Mattutina: libro di estremo candore e di luminosa chiarezza [...] storia più che romanzo; con­fessione più che storia. [...] Da tale candida confessione nasce un racconto piano, umile, senza drammaticità e senza colori forti, ma [...) ricco di verità e di naturalezza. Libro veramente arioso. [...] Dinin [...] rivive con tanta pienezza e calore di vita, da fornire a noi la chiave e il bandolo per penetrare l'anima della Poetessa, e per dare alla donna smarrita un sicuro punto di orientamento.

A questo punto lo Schilirò cerca di confutare il «brutto luogo comune» secondo il quale «la sua poesia vera comincia con Il libro di Mara» e smentisce sia la denigrazione degli agnostici, sia «l'esagerato entusiasmo dei democratici». E si chiede: dov'era il buon senso, e dove l'equità? In nessuno dei giudizi ispirati dalla partigianeria politica. [...]

La poesia [...] è il vario e sincero ascendere e rivelarsi della vita, con le sue tempeste e per le chiarità, con le sue cadute e le sue vittorie […].

Però grandissima fu la differenza che passava tra i primi volumi di versi e Il libro di Mara [...] ma è ingiusto dire che non è poesia Fatalità o Tem­peste, e che è opera perfetta Il libro di Mara [...] non comprendiamo perché si debba essere più indulgenti verso la passione amorosa, e non piuttosto verso l'altra dell'ardenza democratica. [...]

Noi ritroviamo l'arte in tutte le espressioni della vita [...] e la poesia della Negri comincia a rivelarsi in boccio fin dal periodo giovanile, e, attraverso un progressivo affinarsi dello stile, giunge al Libro di Mara, per poi continuare a salire verso le altezze de Il dono e Fons Amoris, via via che nell'animo della donna, si verrà placando il tumulto interiore. [...] Il canto per eccellenza è il canto che serena l'anima. Avvertiva ciò di istinto Ada Negri [...] e non passava differenza fra la sua vita e la sua arte.

La fortuna di Stella mattutina è legata a uno stato d'animo di sincerità e di chiaroveggenza [...] con essa l'arte della Negri è già un'altra; e cam­mina sulla strada buona, senza impedimenti e senza ombre; e vi accompagna la «reginetta in incognito» lungo il tratto più poetico: dalla soglia umile di una portineria invisa, fino alla soglia della scuola di Motta-Visconti. Viaggio di penitenza. Bagno salutare dello spirito. E preannunzio di liberazione. La prima vittoria, di cui Stella Mattutina è documento ineccepibile, è quella riportata dalla Negri sul suo strazio di donna [...] che «ha debellato il suo pessimismo».

Ecco la «chiara allusione al suo nuovo stato d'animo» in una novella di Finestre Alte: Ha i capelli striati di molto argento, ma vivi: gli occhi segnati dai solchi delle passioni, ma vivi: e dentro di sé si sente viva per tutto il tempo che il mondo ha durato e durerà. Degli amori, dei dolori, degli errori vissuti non rimpiange né rinnega alcuno: tutti han lavorato a formarle una ricchez­za interiore di tal complessa potenza, ch'ella osa darle il nome di felicità.

In lei non è più il desiderio, non è più nemmeno il contrasto; ma uno stato di serena accettazione, che si risolve in un supremo amore per tutti gli esseri. [...]
Finestre alte rispecchia appunto un periodo di transizione, nel quale la Negri, appena uscita dal tragico schianto della sua fem­minilità, benedice il dono della vita, ma senza discriminarne il contenuto. [In queste novelle] ella svela delle incertezze, delle inquietudini, degli errori di prospettiva. [Ma esse] non sono novelle, bensì pagine di realtà accaduta e fedelmente narrata; [...] però la traduzione, dalla vita al libro, è della Negri [...] per il bisogno non confessato di una sicurezza.

Pietro Pancrazi, «critico dei più illuminati», ha scritto: «Novelle? Chi legge sente queste figure così intime e vive nell'animo della scrittrice, che pensa piuttosto ad autobiografie potenziali». [Alla ricerca di sè]

A fine marzo del 1923 la Negri

venne a passare parecchi giorni in Sicilia; e dalla Sicilia si recò, nei primi di aprile, all'isola di Capri. [Ivi] ebbe per poco l'illusione di avere sco­perto il paradiso della terra e di avere risolto il problema della sua interiorità [...], si sentì quasi rinata, e la sua anima si esaltò coi Canti dell'Iso­la. Capri - nube del mare - è una follia di luce e di azzurro, di rose-sangue e di profumi spietati. Capri, a chi ci venga - dalle tristi rive - e dalle nebbie appena appena «filtrate di sole» dà sbandanti vertigini: da far perdere il senso visivo della realtà. [...]

Possiamo dire che la Poetessa abbia ora scoperto le radici del suo male inguaribile. In lei il più squisito patimento nasce dal senso della bellez­za. [...] L'incanto di Capri la riempie di sé e la stordisce, gravandola d'un dolce torpore, di abbandono e di euforia. [...]

Ma l'incendio solare di Capri le ha intorpidite le mani e le braccia, l'ha inchiodata in questo giardino della prima colpa [...] che le fa scoprire «l'altra faccia del concetto leopardiano dell'amore»: compagno della sofferenza e antesignano della morte.

I canti dell'Isola e Le strade sono «la magìa del sensibile e i baleni della invisibile realtà».

[I Canti e] le prose terse e musicali di Strade sono un'altalena di estatica ammirazione e di trepidanza amara, di brevi miraggi e di lungo smarrimento, dolce follia visiva e di doloroso senso della vanità. [...] Capri è l'ossessione, la disperazione della bellezza [...] e Le strade son pagine inquiete di donna che in nessun paese ha mai trovato requie, e sta ancora cercando se stessa.

Ricca di lusinghe è la libertà che l'isola offre [...] ai visitatori cosmopoliti; ma anche amara e preoccupante. No, neppure Capri ha saputo dare pace alla Poetessa, perché, come dice Leopardi, la natura ha un volto fra bello e pauroso. Fra i ricordi di Capri tre sono più nitidi e significativi: il senso della vertigine e del precipizio, il complicato linguaggio delle rose e l'ansia della serenità e delle altezze. Ma più assillante ancora è il bisogno della purificazione e del ritrovamento di sé. [...] E la Poetessa ritorna alla sua terra [... mentre] il perpetuo fluire delle cose e l'intrattenibile divenire dello spirito si confondono, in lei, con l'ansia del nuovo e del non raggiunto. Rovello di tutti i giorni. [...]

L'altalena dei rimpianti e delle speranze, della trepidazione e della fiducia, della terrenità e della rinunzia, non è finita. Lo testimoniano Le strade fino all'ultima pagina. [...] Il suo dramma si viene via via risolvendo in ansia di verità, a carattere religioso: «Con che coraggio andrà la mia anima incontro a Dio? L'usignolo continua a cantare. [...] Non saprò. Non ho meritato di sapere. Signore, perdonami. Signore abbi pietà di me». [Incantamento e risveglio]

Nel 1928 la Negri consegnava all'editore un altro libro: Sorelle, una serie di ritratti di donne; una larga e bella e interessante galleria. Qualche critico [...] rilevò con compiacenza che la Poetessa si fosse decisamente volta alla vita altrui e alla sceneg­giatura del gran mondo esterno; [...] ma la Negri non poteva che seguire, o rispecchiare, la incessante evoluzione del suo spirito. [...] L'arte della Negri si è venuta acquetando e schiarendo via via che, lasciati i salti e le irruenze con cui scavava e travagliava il suo percorso, si è pacificata con la terra e s'è lasciata molcere e affascinare dall'azzurrità del cielo. (...]

In Sorelle ritrova sé nelle altre; ché l'io della Poetessa non è qui meno presente che nelle altre opere. Le «sorelle» sono immagini riflesse, in ciascuna delle quali la Negri svela un aspetto particolare di sé. Più che pietre di paragone, sono addirittura specchi della sua anima. [...] L'amarezza è più pacata; lo sdegno scevro di rancore; i cirri meno cupi ed inquietanti. [...]

La maggioranza delle «sorelle» è tutta gente umile, conscia del proprio dovere, rassegnata ai più duri sacrifici. Quasi eroica nella sopportazione. «Per codeste donne [...] accettare l'esistenza [...] è già aderire alla Volontà suprema. [...] Una sola cosa a codeste anime fa sovente difetto: la luce interiore: quella che si dice coscienza religiosa. [...] Quante le donne sofferenti al mondo? Innumerevoli [...] perché unico è l’impasto del­l'uma­na natura; identico il loro traviamento: sentire la vita nella rivelazione del sensibile, e concepire il gaudio come il protendersi delle terrene soddisfazioni. [Sorelle]

Da sé sola, la povera umanità, che si illude di vivere mentre non fa che morire, trema davanti alla fine del suo viaggio di sofferenza; e il suo timore è invincibile, come è invincibile la sua necessità di vita.

Vespertina è il canto di [una] accorata implorazione. Malinconia di crepuscolo. Tristezza dello spirito, gradualmente e giovanilmente affinato, davanti all'appesantirsi della carne. [...] Queste liriche nacquero, quasi tutte, tra il '27 e il '29, in un periodo che la Poetessa era molto malata. [...] Paiono ritornelli dello stesso amaro rimpianto [...] e che squallore di autunno in questo periodo di transizione! [...] Caduta di fronde e caduta d'illusioni.

Ma la poetessa desidera «poter portare a quel passo estremo la coscienza di una missione compiuta».

È naturalissima la preghiera che mette il suggello alle liriche di Vespertina [...] serenità catarsica, che supera in dolcezza quella de L'Infinito leopardiano. Scriveva il Borgese sul «Corriere della Sera» che «dieci, venti pagine di Vespertina non potranno mancare nel libro ideale in cui l'avvenire preserverà l'anima della Negri. Io oso dire che grande poeta ella sarebbe stata anche se altro non avesse lasciato che il [...] Pensiero d'autunno» .[Vespertina]

Con le prose Di giorno in giorno la Negri tocca la tappa decisiva del suo lungo cercare. Possiamo dire che, nella sua faticosa e coraggiosa ascensione, ella raggiunga cos’ l'ultima e più ardua svolta. [...] Leggendo questo libro, m'è parso di sentirvi circolare lo sgomento e la supplice confessione di quel pubblicano di cui parla San Luca [...] chiara coscienza del proprio stato; macero di convinta umiltà; bisogno tormentoso di riabilitazione. Spunto e motivo centrale dell'opera è Assisi: tempio sacro a cui le anime affluiscono. O illuse o deluse. Farisei e pubblicani: promiscuamente. [...] Con [...] spirito di umiltà Ada Negri calca la terra del Poverello di Dio «intrisa di preghiera». È pur vero ch'essa non ha vinto ancora lo sconforto e la trepidanza; che è affliggente il suo lamento: «io pace non trovo, né troverò forse mai [...] e il travaglio del suo spirito si rivela più come aspettativa che come scetticismo».

Il problema dell'anima e dell'eternità si è ormai definitivamente imposto sull'arte della Negri, attivo, presente e fecondo; e balza da tutti i motivi e soverchia tutte le situazioni. [.. .] Il dramma interiore della Poetessa, giunto alla sua fase conclusiva, si è già semplificato in un duello fra la materia e lo spirito, fra la morte e la vita, fra il tempo e l'eternità: e sullo scioglimento di tale dramma non esiste più alcun dubbio.

Piaceri, bellezza, fama, onori, tutto sbiadisce alla controluce delle rifiorenti convinzioni. [...] Davvero non è facile incontrare una sensibilissima anima di artista che si sia talmente impegnata col sano realismo dell'esistenza, e che abbia affondato con altrettanta crudezza e dirittura logica il bisturi dell'esame nel fondo torbido delle proprie esigenze, dei propri istinti e dei propri desideri. [...]
Nonostante l'inquietudine e la malinconia di cui le pagine di questo libro son pervase, la poesia frammentaria dei momenti fuggitivi, delle impressioni occasionali, delle modeste figure sconosciute, ha già assunto ben altro tono e ben altro respiro, ampliandosi nei motivi e nel ritmo, con la solennità della musica corale e con la dolcezza del canto religioso. [Di giorno in giorno]

Chi è quell'uomo che non aspetta dal «domani» qualcosa di meglio e di acquietante? che [...] non chiede alla vita il «dono eccelso», la felicità misteriosa? […) E sarebbe […] mera illusione il cercare e l'attendere? No. Lo scetticismo, faccia ambigua della disperazione, è un peccato contro la logica. […] Ogni viaggio ha la sua meta, ogni tendenza il suo fine, ogni brama il suo compimento. […]

[La Negri] venne comprendendo che all'uomo, creatura di Dio, non basta vivere rassegnato sulla balza del castigo, ma è necessario riplasmare l'anima titanica, affinché, con una migliore comprensione dei suoi destini, ella, di nuovo libera, possa meritatamente riavere e far più rifulgere la scintilla del fuoco celeste.

In virtù di tale ragionamento Ada Negri si è finalmente ritrovata ed ha scoperto il rigagnolo della salute. Lo cantano le liriche Il Dono (1936). Ai suoi occhi il dono più prezioso, nonostante il dolore, è la vita. […] Non sono del tutto scomparsi dalle liriche del Dono quel «tormento di fuga» e quel «desìo di lontananza» di cui vibrano tutte le opere della Negri: ma son ben diversi gli assilli, i patimenti, le aspirazioni d'oggi. Ed è ben altro il tono del rammarico e il significato delle proteste. […]

E quanta calma di rassegnazione! quale approfondimento di vita interiore! che serenità nel rimirare i lati gravosi e penosi dell'esistenza! […] La lirica, con cui si chiudono e nella quale culminano questi suggestivi canti della vita, dono di Dio, è una delle più alte effusioni d'amore che vanti la nostra poesia religiosa. […]

La pellegrina errabonda si è finalmente ritrovata, perché, dopo tanto andare, le è apparsa l'infallibile Guida. [...] Apprestandosi alla stabile dimora, anche la Poetessa rivolge al Maestro la medesima appassionata implorazione: «Resta con me».
Le belle prose Erba sul sagrato (1939), aliene apparentemente dalla catarsi mistica di cui abbiamo parlato, in realtà le s'ispirano anch'esse e le fanno - direi - il punto.[…] Scorrendo queste pagine […] il lettore attento vi avverte distintamente una tonalità rinnovata, un più sicuro modo di vedere e una serenità d'animo che soltanto la certezza e il ritrovamento di sé possono dare. [...]

Per vincere occorre l'aiuto divino: il quale non si ottiene che con la preghiera. [...] Ora per la Negri è soltanto la religione che vivifica il senso della fratellanza umana e può [...] «dare ali alla terra». [Ritrovamento di sé in Dio]

Per quanto radicate ed impellenti fossero le ragioni ideali e sentimentali del suo socialismo, la Negri rifuggì sempre dalle tentazioni e dalle suggestioni della politica. [...] Si rese subito conto delle reali condizioni dei lavoratori, sentì il bisogno e il dovere di pronunziarsi per la causa dei sofferenti, di gridare al mondo le parole della sua ipersensibile umanità, di fare appello alla giustizia sociale e alla fratellanza cristiana, d'incoraggiare all'azione e alla solidarietà gl'indolenti, i dubbiosi, gli sfiduciati; ma non si lasciò adescare mai da partiti e fu sempre gelosa della sua magnifica indipendenza. [...] Il suo socialismo [...] diffidò per istinto delle faziose ideologie e degli inquadramenti di carattere politico [...] e la sua diffidenza poté attenuarsi ma non cadere del tutto. [...] La Negri era veramente poeta e cristiana [...] e solo nell'affratellamento di tutte le classi scorgeva la possibilità della redenzione del proletariato. [...]

Perciò Mussolini si limitò a circuire l'antica compagna di fede sul piano dell'arte, come chiaramente comprovano la presen­tazione di Stella Mattutina da lui fatta sul "Popolo d'Italia» del 9.7.1921, il premio Mussolini conferito alla Poetessa nel 1931, la medaglia d'oro di benemerenza assegnatale dal Ministero dell'Educazione Nazionale e, infine, la nomina di lei a membro dell' Accademia d'Italia.

Ma riuscì a irretirla, fino ad un certo punto. Non c'è dubbio che, dopo aver tanto diffidato, ella intorno al 1936 ebbe l'illusione che Mussolini, aggregando e falciando la proprietà privata, mirasse ad accorciare la distanza fra i vari ceti e a spingere gradualmente l'Italia verso un socialismo nel quale la lotta di classe fosse cristianamente superata dal collaborazionismo dello stato corporativo. [...]

È ben vero che si sentì lusingata dai giudizi mussoliniani e dai riconoscimenti ufficiali della sua eccellenza artistica [...] ma è anche fuor di dubbio che non sollecitò mai né premi né onorificenze. [...] La Poetessa fu dei pochi che non barattarono la loro dignità e non fecero getto della loro migliore indipendenza. [...] La Negri, senza saperselo spiegare, provava per quell'uomo un timore panico [...] e si ritrasse nella solitudine e nel tormento della sua anima. [...] Quando la pregai di mandarmi una lirica per «La Tradizione», mi mandò Preghiera [...] e l'intervento dell'Italia (nella guerra mondiale) le diede il colpo di grazia. E mi scriveva: «Tutto il mondo è un solo dolore, e il peso sull'anima ne è intollerabile. Sola evasione la preghiera».

Il duro armistizio e la farsesca repubblica mussoliniana non fecero che esacerbare le sue sconfinate amarezze [...] e dalla figlia, Bianca Scalfi, ho saputo che [...] ruppe ogni rapporto con tutti gli speculatori del doloroso momento politico e [...] ordinò alla Casa Mondadori [...] che nella ristampa in corso di Stella Mattutina, si omettesse la presentazione del Duce [...] e diceva «chi muore ora è amato da Dio». Il Signore la esaudì e il 10 gennaio 1945 il cuore della forte donna [...] si fermò per sempre.






La poetessa lodigiana Ada Negri




1] L’attuale Istituto Magistrale.


[2] Cancellato dal Concilio Vaticano II.












 

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La vita e le opere di Vincenzo Schilirò

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Opere postume di Ada Negri sono le liriche Fons Amoris e le sue ultime prose Oltre [...]. Non c'è dubbio che il meglio di Fons Amoris è poe­sia religiosa: preghiera cioè. [...] Oltre, invece, dice il tentativo di penetrare fantasticamente e cattolicamente il pauroso mistero della morte.[3]

Salve pochissime eccezioni, la critica si è mostrata, nei riguardi della Negri, molto larga di consensi, di plausi e di grandi lodi: in Italia e all'estero [...] secondo cui «la Negri è la più ricca poetessa italiana, che conta fra le prime due o tre del nostro tempo»; [...]

La critica infetta di agnosticismo e legata all'estetica ottocentesca [...] si è quasi sempre fermata all'esame delle forme stilistiche e alla ricerca delle derivazioni meramente letterarie [...]. Comunque, sul valore letterario delle opere della Negri si è scritto discusso e inneggiato fin troppo; ma ai più è sfuggita l'anima, sorgiva diretta e vitale della medesima. [...]

Fu appunto il Croce a mettere in circolazione la leggenda dell'intimismo con argomenti manifestamente contraddittori. Mentre infatti egli cominciò con l'asserire che la Negri delle prime tre raccolte di liriche non fosse riuscita a dare una vera poesia perché, spoglia di personalità sua e rivestita d'un personaggio pubblico, s'era sacrificata alla missione sociale. più tardi ha sostenuto che la Negri del Libro di Mara e dei Canti dell'Isola non ha raggiunto la schietta poesia perché, «abbandonata la missione sociale e dismesso il personaggio pubblico, s'è trovata sola col suo io privato» (Critica, XXXIII, 333).

Non sappiamo se e fino a qual segno il rappresentante del liberalismo italiano abbia avuto coscienza del suo chiudersi in codesto vicolo cie­co. Sta di fatto che, per mettere d'accordo in sé il critico col filosofo, è venuto sostenendo, con argomentazioni interessate e talora gratuite, che la poesia esorbita dall'io privato dalle esperienze dai sentimenti e dalle necessità personali e si identifica con l'io universale, vale a dire con una umanità che non ha nulla di quella realtà concreta che costituisce il comune denominatore dei singoli individui, ma vaneggia in totalità panteistica ed astratta.

Mi dispenso da domandare al Croce (che apprezzo come storico e sagace indagatore del fenomeno estetico, ma non come critico d'arte) a quale umanità si debbano assegnare Le ricordanze o Aspasia o Il passero solitario o L'Infinito di Giacomo Leopardi, Le lac o Le crucifix di Lamartine, l'Alastor o la Sensitive plant di Shelley: perché egli probabilmente mi risponderebbe con parole elusive.

Non gli faccio neppure rilevare l'inanità dialettica del sottrarre la poesia all'uomo pratico e alla concretezza della vita individua, per nebulizzarla e dissolverla in quel nulla assoluto che è l'universalità degli idealisti: inanità dialettica che stride con la comune concezione della vita, con le leggi etiche, con le aspirazioni di tutti i popoli e di tutte le civiltà. [...] Per comprendere invece la poesia d'un autore non c'è che una sola maniera plausibile: conoscere, del poeta, l'anima. [...]

Ogni poeta non fa che logorarsi nella ricerca della propria umanità e del suo scopo ultimo: e la graduale rivelazione di codesta ricerca è ciò che chiamiamo poesia [...] che è, pertanto lo stato d’animo con cui si viaggia [...] e il sentirsi realtà nella realtà [...] è il riconoscersi miseri. ai baleni di una anelata felicità [...] è, insomma, un superare e slargare e trasfigurare questi limitati orizzonti che ci opprimono come un esilio. [...] L'arte della Negri brilla appunto d'una fiamma e di una luce interiore: velata e fumosa qualche volta, ma viva sempre, e possente. La sua poesia è il respiro della sua anima. Gioia e sofferenza insieme.

Ada Negri appartiene a quella schiera di grandi che il mero esercizio letterario non giunge ad afferrare completamente [...] perché il loro assillo spirituale ha radici profonde. [...] Ada Negri ha in realtà scoperto il segreto dei sapienti: quello di sapersi conoscere; quello di scendere nell'abisso della propria anima prima di affacciarsi sull'anima altrui. [...] II Borgese dice di Lei: «natura religiosa è stata fin da principio» e il Pancrazi: «la poetessa ha sempre un carcere da cui evadere». [...] L'ansia del superamento e del divino, che è la singolare e misteriosa ragione della poesia non si acquieterà mai in Ada Negri.

Altro elemento caratteristico più notevole che contraddistingue la sua personalità, è il senso della natura. [...] Indizio di un larvato atteggiamento panteistico. (Vedi Esilio, Il libro di Mara e I canti dell'isola) [... dove] il senso cosmico si affina in bisogno di acquietamento, in nostalgia di abbandono fiducioso nella realtà naturale. [L’arte di Ada Negri]

Dalle accese intemperanze giovanili del '92 alle rassegnate malinconie delle ultime liriche, i sentimenti di Ada Negri, anche i più intimi, non si chiusero mai nelle trincee dell'egoismo, né perdettero mai di vista i fratelli e i compagni di viaggio. [...]

E si deve a codesta coscienza o comunione fraterna, notevole in tutte le opere, che le figure femminili della Negri abbiano tutte alcunché di suo, fortemente inciso. [...] Il migliore vanto della Negri è il carattere missionario della sua opera. (Vedi Vespertina e Il Dono). [...] Questo lato positivo e fecondo dell'opera della Negri [sfugge] all'attenzione della maggior parte dei critici cattolici [...] che trascurano l'anima e il respiro vitale del poeta. La Negri [...] non scrisse e non cantò che per spirituale necessità, e cantò sempre il sentito e il vissuto. [...] Le ultime opere di lei rappresentano un seme caduto su terreno fecondo e ben disposto. [...]

Anche le prose Oltre riflettono [...] lo stesso spirito caritativo e missionario. [...] perché in aderenza ai suoi principi di fede e umana solidarietà […] considerava l'arte come apostolato. [...] Esser poeta significava per lei portare accesa in mezzo a stracchi e disorientati compagni di viaggio notturno, una fiaccola illuminatrice e confortevole: compito che alle coscienze delicate è travaglio e sgomento. [...]
La Negri non scorgeva, a salvezza del mondo inferocito e sanguinante, che un solo rimedio: l'amore! [Il carattere missionario della sua opera]
 

[3] «Come foglia che cade, penetrata di sole...». Confrontando gli indici delle due edizioni: la prima del 1938 e la seconda del 1948, si notano le seguenti variazioni: il cap. 5: «La prima fac­ciata della gloria» di­venta «La prima faccia della gloria»; il cap. 17: Ritrovamento di sé: «Il dono» diven­ta «Ritrovamento di sé in Dio»; il cap. 18: «Lei e la natura» diventa «Come foglia che cade penetrata di sole». Ma in questo cap. 18 quello che cambia è certamente il conte­nuto per quanto riguarda il rapporto della Negri col fasci­smo e Mussolini e il giudizio su quest'ul­timo del nostro Vincenzo Schilirò.

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