Come abbiamo visto nel capitolo precedente, che parla della vita e delle opere di Vincenzo Schilirò, egli trascorse a Bronte, sua città natale, ben diciotto anni, dedicandosi all'insegnamento, allo studio e alla pubblicazione dei suoi scritti, all'attività sociale e politica con la pubblicazione di quattro suoi giornali. Dei primi tre: «Il propagandista», «Domani!» e «U Trabanti», ho potuto registrare solo le notizie riportate nelle pagine precedenti, perché, malgrado le mie ricerche a Bronte, a Maletto e a Catania, non ho trovato nessun numero di detti giornali, né alcuna altra recensione. Del quarto, «Nova Juventus», invece, ho potuto leggere i numeri conservati presso la biblioteca del Collegio Capizzi di Bronte, desumendone tutte quelle notizie e documenti riportati alle pagine seguenti. Ora passiamo a parlare delle sue opere letterarie attraverso le recensioni dell'epoca e principalmente del suo omonimo biografo, Antos. LA CREDENZA CARDUCCIANA E SUO VALORE
Nella prima, forse in senso assoluto, recensione de La credenza carducciana e suo valore padre Barbera S. J. de «La Civiltà Cattolica», mentre dice che Vincenzo Schilirò «tenta di indagare oggettivamente la vera psicologia religiosa del cantore di Satana, [...] abbonda [...] con soverchia indulgenza [...] verso il poeta rabbioso e con troppa deferenza alla tanto decantata franchezza e lealtà di lui». Ma leggiamone il giudizio: V. Schilirò, La credenza carducciana e il suo valore, Bronte, Tip. Sociale, 1912, 16°, 136 pp. L'A. sulle testimonianze edite ed inedite, che si sono potute avere, tenta di indagare oggettivamente la vera psicologia religiosa del cantore di Satana, senza il partito preso di mostrarlo o più empio o più religioso di quel che appaia dai documenti, e viene alla conclusione che il Carducci fu successivamente anticlericale, anticattolico, anticristiano, pagano e credente in Dio, spiegando queste denominazioni secondo che si individuano nella psicologia carducciana. E’ ben chiaro che l'A. scrive con spirito cristiano e cattolico, ma, preoccupato di voler mostrarsi imparziale, abbonda, in alcuni tratti e frasi, nel senso carducciano, come a pp. 51, 95, 97 e 98, con soverchia indulgenza talvolta verso il poeta rabbioso, e con troppa deferenza alla tanto decantata franchezza e lealtà di lui (p. 49), laddove poi non tocca del rispetto umano e della posa affettata di lui a fare il ribelle; elementi questi necessarii per un giudizio più profondo e compiuto a un soggetto non privo di difficoltà. (P. Barbera)[1] Nella Credenza carducciana l’autore analizza chiaro e preciso le opere del poeta e conclude che il Carducci «quando declamò contro Cristo, fu per odio ai preti, e quando di Cristo pensò libero e sciolto, fu sentimento intimo: che non ammise la divinità, ma s'inchinò al grande martire umano: e che in Dio volle credere sempre più». E benché il libro studi soltanto il lato spirituale del poeta, e forse a motivo di ciò illumina anche il carattere sincero, libero e combattivo di lui, il quale si rivela nell'arte e nella vita. E’ proprio in questo che la credenza carducciana si connette a Il Romanticismo e gli amici pedanti. Lasciate le pagine fluenti della prima opera, che ci facevano assistere allo svolgimento drammatico della vita spirituale del Carducci, nella seconda siamo portati ad assistere a quel periodo di formazione letteraria di lui, che corse dal '56 al '71. Ci troviamo, perciò, davanti a un'opera puramente storica. Ma lo Schilirò nella Credenza ci aveva fatto vedere che fattore principale dell'arte e dell'operosità del Carducci è l'amore libero, battagliero e insofferente di qualsiasi giogo, qui si ritorna a mostrarcelo con lo stesso animo, nell'atto di pontificare in mezzo agli amici e di scagliare fulmini contro i Romantici. Che lieta e promettente brigata quella dei quattro amici pedanti! [...] e mi fa essa pensare a quella del «Domani!» che riuniva lo Schilirò e i suoi amici nella fede e nel culto di una bella idea. Forse sta qui il segreto della simpatia che suscita questa seconda opera sul Carducci, la quale [...] è un utile contributo allo studio sul Romanticismo.[2] Seguono I motivi estetici dell'arte d'annunziana, F.T. Marinetti e il Futurismo, Note dantesche, Bricciche letterarie, Appunti di estetica, Nozioni di letteratura, tutti temi a caratura scolastica che ebbero grande accoglienza non solo fra gli studenti, ma anche fra gli altri colleghi e gli studiosi più vicini. La seconda edizione di La credenza carducciana ebbe più commenti e più consensi come veniamo registrando. Della seconda edizione del libro (1917), abbiamo scelto alcuni brani di lettere e di recensioni riportate da alcuni giornali dell' epoca: Mi congratulo con lei del senno che dimostra con dottrina e acume nelle Sue pagine carducciane. Nelle Note all'Ottocento, che si va stampando, faccio a tempo, e ne son lieto, a rimandare all'uno e all'altro dei Suoi libri. Se Ella ha già visto il testo, pubblicato per intero da non molto tempo, si sarà accorto come, quanto agli "Amici Pedanti" in molte cose concordiamo. (G. Mazzoni) Mi congratulo con Lei del suo Volumetto La credenza carducciana così lucido, così ben condotto, così giusto nelle conclusioni che sostiene. (B. Croce) Il suo studio La credenza carducciana è, a mio giudizio, lavoro ben pensato e ben fatto. Come nella prima parte è con diligenza esemplare e con sereno animo esaminata la credenza carducciana, così nella seconda ne pare a me con verità determinato il valore. (G. Manni) Mi rallegro con Lei per l'acume e la dottrina con cui son condotti i suoi saggi critici. Quello su La credenza carducciana è particolarmente importante. (G. A. Cesareo) A me pare che difficilmente si potrà dissentire da quanto lei dice. Mi pare ben definito e posto nei giusti termini l'anticlericalismo e il paganesimo del Carducci che non fu areligioso; che del resto non affrontò di proposito il problema religioso, perché egli era poeta e non filosofo, come bene nota il Croce e osserva Lei. (F. Guglielmino). Vincenzo Schilirò in uno studio ben fatto esamina La credenza carducciana e il suo valore e valendosi di testimonianze e di saggi precedenti, oltre che dell'opera carducciana, giunge a conclusioni che bisogna accettare, pur non attribuendo loro l'importanza di cui l'autore le crede capaci. Lo Schilirò rileva come dal «duplice persistente odio contro il Romanticismo, simboleggiante la negazione dell'arte antica, e contro la teocrazia, rappresentante l'opposizione alle conquiste della libertà» (atteggiamento dell'età giovane e della virile), il Carducci, nell'età matura, sia passato alla fede se non in un Dio personale, certo in un Dio che opera nella natura e nella storia. (Dal «Marzocco», XVll, 51) Invece Vincenzo Schilirò ci dà uno studio serio su La credenza carducciana e il suo valore. Il volume di Ernesto Iallonghi, pubblicato due anni or sono, attraverso una rapida e densa sintesi di tutto il pensiero carducciano, in uno stile smagliante ed elegantissimo, ci aveva detta l'opinione di uno studioso tutt'altro che mediocre. Forse la conclusione non fu allora troppo spassionata. Ora, Vincenzo Schilirò, meno sintetico nell'esame, più largo e in qualche punto soverchiamente erudito, porta anch'Egli la sua parola in proposito. In altri termini egli conclude: «Carducci fu poeta e patriotta sincero; e appunto perché patriotta vide nella Chiesa cristiana, non lo spirito di Gesù mite e buono, ma la personificazione della tirannide e dell'antipatriottismo. Il Carducci dunque odiò i preti e i papi, fu anticattolico, anticristiano e pagano, ma credette in una espressione ultraumana giustissima che disse: Dio». E veramente bisogna accettare questa conclusione, attraverso i vari passaggi e i vari atteggiamenti dell'anima del Poeta qui chiaramente espostici. Lieti di avere avuto modo di conoscere uno studioso e un critico nuovo che ha un valore suo proprio. (dal «Pensiero Moderno», IV, 6) E il suo biografo continua: Vorremmo dire dell'artista giovane tutto il bene che abbiamo detto del critico giovane: ma, data la diversità dei due campi, ci tocca far delle riserve, che si devono piuttosto al tempo immaturo in cui lo Schilirò scrisse i primi versi [...] che si sono andati raccogliendo, adagio, negli anni precedenti, ancora immaturi. Nella brevissima prefazione de L'arte poetica l'Autore ci dice: «Attesi alla presente traduzione sui diciott'anni, quando cominciai, in iscuola, a gustare L'arte poetica. Ed ora la pubblico, non per pretensione letteraria, ma perché, rileggendola, m'è sembrata attenersi scrupolosamente al testo. Se è in versi, bisogna attribuirlo ad un puro desiderio giovanile di esercitazione metrica». A dir la verità, pur trattandosi d'opera giovanile, qui ci troviamo dinanzi a un lavoro pressoché perfetto nel suo genere: poiché la scrupolosa fedeltà al testo è così contemporanea all'intelligenza della tesi del Poeta e alla scioltezza e purezza del verso, che vien proprio da dubitare se si tratti d'un lavoro originale anziché d'una traduzione. [...] Garbo e levigatezza di stile è dote naturale allo Schilirò, cui l'abbiamo visto spiegare a dovizia nelle due critiche carducciane, e gli è naturale anche nel verso, quantunque questo non raggiunga ancora forza di costruire un lavoro più esteso. Apriamo Primavera triste e ve li troveremo dovunque. Questo volumetto d'appena 130 pagine comprende poesie di varia ispirazione, anche occasionale, di quella cioè che alle volte nuoce alla vera poesia. Ma noi giudichiamo senza preconcetti. L'Autore nella prefazione ci dice: «Fra il rispetto, che nutro sincero e quasi geloso per l'arte, e quella compiacenza indulgente che, nel giudicare i lavori della giovinezza, ascolta con preferenza la voce del cuore, ha vinto la seconda [...]. Ma, nel dichiararmi vinto, devo pur dire che la mia perplessità nel congedare i manoscritti alla stampa non è stata lieve. Me lo confermano la facilità con cui, rileggendo di quando in quando questi versi, son venuto decimandoli, e la convinzione salda che, indugiando qualche anno ancora, li avrei ridotto di vantaggio [...] Mi conforta peraltro il pensare che, se il cuore è stato indelicato verso l'arte, non ha patrocinato la causa di sentimenti indegni». Confessioni preziose, queste, che ci rivelano la storia umile e, nello stesso tempo, semplice e sincera di questi versi. [...] Se non ce lo dicesse l'Autore stesso, lo vedremmo ugualmente noi che in questi canti c'è ancora il giovane che s'inizia al gran mistero della poesia, e vedremmo pure che vi si nota un non so qual sentore d'imitazione; ma è anche chiaro che questo giovane ha in petto qualche cosa che lo anima e lo fa palpitare: la poesia. Cosicché noi usciamo dalla lettura di questo volumetto con la sicura speranza di aprirne fra breve un altro che ci dia il poeta. Lo Schilirò, scrittore, possiede fuse in perfetta armonia le due qualità che, come egli dirà in Appunti di estetica, son necessarie al vero critico: di filosofo e d'artista. [...] egli ama presentarsi da critico modesto; ma, anche quando fa delle semplici disamine letterarie, rivela in modo manifesto il suo temperamento d'artista. [...] I motivi estetici dell'arte d'annunziana ebbe realmente le accoglienze che meritava [...] e a Benedetto Croce parvero molto esatti i giudizi che lo Schilirò dà sul D'Annunzio e su ciò che la sua arte realizza. [...] Si sente subito lo scrittore della Credenza carducciana e del Romanticismo, ma più ricco d'esperienze, di modi e di suoni. [.. .] Ma il libro unito e compatto non è: infatti la prima parte tratta i più fondamentali problemi estetici; l'altra vorrebbe essere l'esposizione delle teoriche d'annunziane (ma al D'Annunzio manca un vero sistema estetico). L'una e l'altra parte cercano di fondersi in un tutto organico, ma non è così che non si possano separare. Infatti la prima parte ha dato origine a Appunti d'estetica, mentre la seconda ha prodotto L'arte di Gabriele D'Annunzio del 1938. [...] È interessante rilevare quale sia l'arte del D'Annunzio secondo il concetto dello Schilirò, che seppe guardare a tutta la critica d'annunziana di più d'un ventennio e, guidato ormai dalle lunghe esperienze del suo gusto finissimo, superarle. Il D'Annunzio una teoria sua dell'arte non l'ha, ma subisce molte influenze esterne. Nelle liriche giovanili, nelle novelle e nel romanzo "ingenuo" Il Piacere, «attraverso le reminiscenze letterarie si rivelano con sincerità profonda la genialità pittorica e la sensualità violenta del Poeta». [...] Pel D'Annunzio l'arte comincia ad esser una esercitazione formale, un gioco da dilettante [...]. Spirito essenzialmente formale, più che il pensiero ama l'esperienza viva: è la divinizzazione del suono squisitamente ricercato. E «dal dilettantismo formale passa al psichico». D'Annunzio, stanco del malsano artificio dei suoni, vorrebbe volgersi alla vita e alla realtà, cercare un contenuto, animare d'un afflato vitale le sue opere artistiche. [...] L'esistenza, nel Poeta, d'un profondo pensiero etico s'oppone all'organica e vitale animazione degli ambienti studiati, per dar luogo al dilettantismo psichico. [...] D'Annunzio non fa che costruire. Dipende da ciò la frammentarietà artistica che caratterizza le opere d'annunziane. [...] Il D'Annunzio sente il bisogno di riposare in una definitiva concezione della vita, che sia fonte di sincerità artistica [...] e neppure nella concezione del Superuomo può trovare sincerità artistica, perché la filosofia nietzschiana ne isterilisce la fonte col violentare i sentimenti umani e capovolgere i valori della vita. Dopo la prima guerra mondiale «denunciò ogni teoria che sapesse di tedesco e cercò di mettere la sua arte al servizio dei massimi valori umani [...] e farlo vibrare di poesia nazionale»; ma conserva ancora «quella preziosità aristocratica che è ormai sua natura e lo tiene lontano dalla maggioranza del popolo» IL COLPEVOLE
Nel profilo dell'Antos manca, a questo punto, un cenno a F.T. Marinetti e il Futurismo che lo Schilirò pubblicò nel 1919, lo stesso anno in cui pubblica per la sua Filodrammatica Il Colpevole. Esso è un dramma che pone il problema della ricerca della paternità (tesi cara all'autore). La più bella lancia spezzata a favore d'una legge che tutti gli onesti invocano: la ricerca della paternità. Il dramma piacque molto, e in Bronte è stato più volte rappresentato con successo. Nel 1920 viene pubblicata la prima edizione delle Note dantesche, che riescono di molto profitto agli studenti nella loro preparazione alla licenza liceale. L'ordine, la chiarezza e la semplicità vi sono così grandi che s'è sentito il bisogno di farne una seconda edizione coi tipi di C. Galàtola, infatti - molti studenti, in mezzo a tanti studi e quadri sinottici della Divina Commedia, scelgono questo dello Schilirò [...]. Questa preferenza indica chiaramente la bontà del lavoro. Bricciche letterarie è «il bel volumetto che chiude la prima serie dei saggi critici pubblicati dal periodico "Nova Juventus" dal marzo 20 al giugno 21». |