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Il fisiologo Arcangelo Spedalieri

I personaggi illustri di Bronte, insieme

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Arcangelo Spedalieri

Personificò la scienza congiunta all’amore verso il prossimo infermo

ARCANGELO SPEDALIERIArcangelo Placido Antonino Spedalieri, (Bronte 1779 - Alcamo 1823), dottore in medicina e chirurgia, fu un grande fisiologo e un anatomico illustre.

Benedetto Radice lo definì «l’Ippocrate siciliano, onore e vanto degli atenei di Bologna e di Pavia».

Nacque a Bronte il 17 aprile 1779 da D. Giuseppe Arcangelo, notaio, fratello del filosofo e sacerdote Nicola Spedalieri, e da D. Melchiorra Giudice, in una famiglia numerosa (dodici figli) e non agiata.
Iniziò i suoi primi studi a Bronte nel Collegio da poco fondato da Ignazio Capizzi per proseguirli, grazie a un sostegno economico concesso dalla Municipalità interessata alla formazione di futuri medici che potessero operare sul territorio, nella Reale Accademia di Palermo dove rimase per tre o quattro anni che furono il preludio nell'esercizio di quella professione in cui doveva toccare l'eccellenza.

All’epoca l’Accademia palermitana non aveva la facoltà di conferire lauree, di conseguenza, sempre grazie a un incremento della somma di denaro fornitagli dalla città natale, Arcangelo Spedalieri continuò gli studi di medicina nell’Università di Napoli dove si laureò probabilmente tra il 1800 e il 1801.

Abbandonata la Sicilia si soffermò in breve soste a Napoli, a Roma, a Firenze e nella dotta Bologna dove non faticò molto per farsi conoscere: all’età di 29 anni è già assi­stente alla clinica medica dell’Università. Qui cominciò a dettare le prime lezioni di zoologia e minera­lo­gia, ma non vi dimorò molto e, per le sue crescenti aspirazioni, preferì recarsi a Pavia per ultimare il perfeziona­mento negli studi. Perfezionò gli studi con l'anatomista conte Pietro Moscati, di cui divenne assistente e amico, e tenne l’insegnamento di Fisiologia e Anatomia medica dal 1813 al 1821.

Scrive Luigi Margaglio (Il Ciclope, anno II, n. 2 del 19 Gennaio 1947) che «non furono, invero, giorni lieti quelli successivi al suo arrivo. I suoi bisogni crescevano, e le sue risorse finanziarie non gli permet­tevano di vivere con quel decoro che s'addiceva a un aspirante alla cattedra.
Dovette, quindi, sottoporsi a privazioni e rinunzie che l'umiliavano profondamente, non volendo ricorrere agli aiuti che amici e conoscenti gli avrebbero forniti volentieri per la stima che nutrivano. Ma le necessità possono essere più forti del nostro orgoglio, e impuntarsi può significare discesa verso la sconfitta. Ridotto allo stremo, gli mancò il denaro per vivere, e fu costretto a vendere i suoi libri e parte dei suoi abiti.
Era, come suol dirsi, spalle a terra. Fu allora che la squisita sensibilità di un suo ricco amico, al quale era nota la sua ritrosia, venne a sollevarlo dallo stento con un simpatico espediente.

Gli si diede a leggere un volume, e lo Spedalieri, sfogliandolo con quell'avidità ch'è propria degli studiosi, vi trovò - nascoste tra le pagine - alcune monete d'oro. La sorpresa fu molto gradita alla povertà francescana del brontese,che si servì del dono e fu riconoscente al donatore: ma, tosto che si trovò in condizioni di poterlo fare, restituì interamente la somma ricevuta.»

«Grato a tutti, si, voleva esserlo, ma debitore di nessuno. Intanto la cerchia delle sue conoscenze si allargava, e gli apprezzamenti che di lui si facevano erano lusinghieri. Non reca, quindi, meraviglia se il regio ministro di Milano, conte Pietro Moscati, a cui occorreva un segretario, fece cadere la scelta su di lui.
Senza più assilli d'incertezza, e sicuro del domani, poté assolvere con serenità il suo delicato compito, e, nelle ore libere, attendere pure allo studio. Perché non distolse mai lo sguardo da quella ch'era la sua meta. E tornato da Parigi, dove era andato ad accompagnare il Ministro, volle concorrere alla cattedra di Anatomia comparata, e l'ottenne, riportando un brillante successo nonostante i molti concorrenti.»

Divenne ben presto noto in tutta Italia, diventando uno tra i più rinomati medici, per la sua vasta dottrina e la prontezza e la sicurezza delle diagnosi ma anche per i tantissimi studenti che assistevano alle sue lezioni.

Era signorile nei modi, aitante della persona, e la sua prestanza fisica unita al sapere e alla integrità del carattere, esercitava un fascino irresistibile, special­mente sulla gioventù.

Il poeta siciliano, Leonardo Vigo, che nel 1819 gli aveva dedicato, una cantica, (tanta era la sua fama) lo ricordò, in seguito, nel suo poema «Il Ruggero» met­ten­dolo accanto ad un altro insigne clinico, il Galvagna e celebrandoli insieme, scrisse:

Ambo di forma maestosa e bella;
Altera fronte, tra brinate chiome,
sol d'alti sensi si fiorisce e abbella
lor mente eccella, che di morte ha dome
le forze, per cui l'isola l'appella
di Salvatori col diletto nome...

«Coll'insegnamento – conclude Luigi Margaglio - potè ottenere quel benessere e agiatezza che doveva fargli ricordare con una vena di commozione i tristi giorni dell'indigenza.
E la solidità della sua dottrina era tale che, nel 1815, a causa del mutamento del Governo in Lombardia, dovendo tutti i professori sottoporsi a un nuovo esame per essere confermati nella loro carica, si fece eccezione soltanto per lo Spedalieri. Il quale, divenuto altresì docente di fisiologia e di anatomia, venne nominato, da sua Maestà imperiale, Rettore magnifico dell'Università.»

Arcangelo Spedalieri (dal quadro Uomini illustri di Bronte)

In alto, l'«Ippocrate siciliano», il fisiologo Arcangelo Spedalieri, in una incisione del 1880 di Angelo Colom­bo su disegno di Agostino Attinà. Nella foto sopra, Spedalieri ritratto nel quadro del 1874 "Uomini illustri di Bronte" dipinto dallo stesso Attinà

Arcangelo Spedalieri nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani

Toccava, a 40 anni, l’apice della sua carriera.

Tra il 1815 e il 1817 insegnò anche polizia medica, e nel 1817 divenne professore di fisiologia e di anatomia; fu rettore dell'Università di Pavia nel biennio 1819-20. Nel 1820 sposò l’artista teatrale Giuseppina Le Speron, donna intelligente, colta, di fini sentimenti, dalla quale ebbe un figlio, Giuseppe.

A causa delle sue cattive condizioni di salute, dovute probabilmente a ripetuti episodi ischemici, Spedalieri nell’agosto del 1821 decise di abbandonare Pavia, per ritirarsi nella sua Bronte da cui per tanti anni era stato assente, sperando che il clima potesse migliorare la sua salute. Esercitò la professione di medico con grande successo a Bronte, Catania e infine Palermo chiamato sempre a dare i suoi salutari consigli.

Fu invitato ad Alcamo per un consulto. E là, a soli 44 anni, mentre ridava la salute agli altri, la sua esistenza venne improvvisa­mente stroncata da una mortale infermità. Il 6 maggio 1823 un colpo apoplettico ne causò infatti la morte, lasciando purtroppo incompleto un suo trattato di Fisiologia che gli era costato ben 15 anni di ricerca.

Fu sepolto nella stessa città di Alcamo.
 

Arcangelo Spedalieri personificò la scienza congiunta all’amore verso il prossimo infermo; fu autore di prestigiosi testi di medicina e di scienze naturali.

Fra le opere principali del fisiologo Arcangelo Spedalieri ricordiamo:

 - "Memorie su l’analogia che passa tra la vita dei vegetabili e quella degli animali", Milano 1802,

 - "Memorie due di fisiologia e patologia vegetabile", Milano 1806;

 - "Riflessioni patologiche sulla rottura dello stomaco", Pavia 1815 (un lavoro su un caso patologico);

 - "Medicinae praxeos compendium", Ticini 1815, in due volumi; (Compendio di medicina pratica, foto a destra)

 - "Elements medicinae praticae", Ticini 1815, in due volumi; 

 - "Elogio storico di Giovanni Filippo Ingrassia celebre medico e anatomico siciliano", Milano, Dall'Impe­riale Regia Stamperia, 1817 (letto in occasione dell’apertura dell’Università di Pavia il 12 novembre 1816;

 -  "Consulto medico per metropero­tonide", nel n. 1 del Giornale di scienze mediche, Palermo 1835.

Arcangelo Spedalieri, studiò nelle università di Napoli e di Pavia, e in quest'ultima nel 1813 ottenne l'inse­gna­mento di fisiologia e anatomia compa­rata (dal 1815 al 1817 anche di polizia medica), poi (1817) di fisiologia e anatomia ed infine ne fu il rettore (1819-20).

Era un appassionato di numismatica ed aveva costituito una di­scre­ta collezione personale che nel 1820, quando era rettore, nel periodo in cui era istituita la cattedra di Archeologia, Diplo­ma­tica, Araldica e Numi­smatica, donò all’Università di Pavia.

Una ricca colle­zione forse messa insieme con acquisti in Sicilia, ma anche in Francia e Sviz­zera oltre al Lombardo - Veneto dove Spedalieri viaggiò per accom­pagnare il conte Pietro Moscati e per visite scientifiche. Il valore non trascurabile delle monete indica che fu composta anche attraverso acquisti selezionati sul mercato antiquario.

Il Rettore do­nò la sua ricca collezione di monete greche, romane, bizantine, medievali e moderne, quasi tutte di provenienza siciliana (29 monete d’oro, 300 d’argento e solo 76 di bronzo) costituendo così il nucleo originario della collezione universitaria.

 


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