Settembre 2002 Dolce pistacchio di Bronte E’ dolce, delicato, aromatico. Soprattutto è unico. Nel senso che, fra le varie qualità coltivate nel Bacino del Mediterraneo e in California, soltanto il pistacchio di Bronte possiede quelle qualità organolettiche che ne fanno un unicum in tutto il mondo. Sarà il terreno lavico - ora impervio, ora secco, ora fertile -, sarà il clima piovoso e asciutto, sarà la tecnica di coltivazione, fatto è che il pistacchio di Bronte possiede un sapore soave che i frutti prodotti altrove non hanno. Usato per preparare torte, paste, torroni, mousse, gelati, e granite, ma anche arancini, oltre a primi e secondi piatti, questo delizioso seme dal colore verde smeraldo viene apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l'originalità del gusto e l'adattabilità m cucina e in pasticceria. Pochi probabilmente sapranno (ci riferiamo ovviamente a coloro che non sono di Bronte) che il frutto si raccoglie solo negli anni dispari, con cadenza biennale. E' una tradizione che si perde nella notte dei tempi - probabilmente risalente alla dominazione araba - e che racchiude i segreti di una cultura ricca di fascino e di mistero. Una tradizione che si tramanda da padre in figlio senza soluzione di continuità, testimonianza della saggezza di un mondo, quello contadino, secondo cui, grazie al "riposo" degli anni pari, la pianta assorbe dal terreno lavico le sostanze necessarie per produrre un frutto ricco di aromi e di sapori inconfondibili. Questo "speciale" de L'Informazione, che esce anche in occasione di una delle Sagre più originali della Sicilia, racconta le origini, le curiosità, i personaggi legati al pistacchio, ma anche la storia e le caratteristiche della illustre città che lo produce, Bronte. IL PERSONAGGIO ENZO GRASSIA I segreti dell’oro verde Conosce tutti i segreti della coltivazione del pistacchio. I misteri di una tecnica inventata dagli arabi e tramandata di generazione in generazione. Eppure Enzo Grassia, 55 anni, cerca sempre di migliorare le sue conoscenze grazie anche all'apporto del figlio Salvo, di 25 anni, che, con amore, segue le piantine dalla loro crescita fino all'evoluzione: nell'appezzamento situato in territorio di Bronte, sperimenta nuove tecniche, tenta nuovi innesti, segue le piante come se fossero figlie sue. "Tutto nel rispetto della tradizione", tiene a sottolineare. La campagna dove coltiva il pistacchio si trova in un'altura dalla quale si vedono in lontananza Centuripe e Regalbuto, Cesarò e San Teodoro, paesi antichi e misteriosi seminascosti da un velo di foschia. "Certo, alberi di pistacchio ce ne sono tanti in questa provincia, ma soltanto in questa zona crescono e si riproducono in modo rigoglioso". Perché? Grassia sorride: "Forse il terreno". Fa una pausa. "Ma è lo stesso terreno sciaroso che c'è nelle zone limitrofe". E allora? "Allora è probabile che a fare la differenza sia il clima, un clima asciutto e al tempo stesso piovoso". Una cosa è certa: "La tecnica di coltivazione consente di ottenere un prodotto dal sapore straordinario". Una tecnica che, secondo la tradizione, prevede la raccolta negli anni dispari. Perché? "Questi terreni sono siccitosi, se li sfruttiamo in continuazione si impoveriscono. Allora è necessario metterli a riposo, così da consentire al fogliame di rigenerarsi e di darci il frutto desiderato. Gli antichi usavano fare così, quindi è giusto che anche noi facciamo così". Il figlio ascolta attentamente ed ogni tanto interviene. Perché da secoli si raccoglie negli anni dispari? "E' un fatto inspiegabile", risponde il ragazzo. "Nessuno si permette di mettere in discussione gli insegnamenti dei nostri padri: il ciclo biologico subirebbe un trauma di grandi proporzioni. Qualcuno ha cercato di raccogliere anche negli anni sbagliati e gli è andata male: 100 chili di prodotto scadente, a fronte dei 300 di ottima qualità accumulati nelle annate giuste". Ci incamminiamo lungo i sentieri costeggiati dai pistacchi. I tronchi, bassi e sbilenchi, si trovano qui da secoli, "addirittura da millenni", dice il giovane Grassia. "Secondo me", aggiunge, "gli alberi piantati anticamente dai romani non sono mai morti". I rami, appesantiti dalle foglie larghe, pendono verso il basso. "I rami che fruttificano meglio", spiega il ragazzo, "sono quelli che si protendono verso il basso". "La pianta", prosegue il padre, "va innestata sul selvatico terebinto (in dialetto scornabecco), che nei terreni lavici mette un ottimo apparato radicale. Lo scornabecco è la chiave di tutto, nel senso che costituisce la base dove vengono innestate le piante maschie e femmine. Per produrre dei frutti devono passare dieci anni. La piena efficienza produttiva si raggiunge dopo i venti. La potatura avviene da dicembre a febbraio, a marzo tagliamo i fiori (dei fiori sottilissimi e senza profumo), lasciando il grappolo. La raccolta avviene a settembre. Il contadino passa con il sacco appeso al collo, scrolla l'albero e fa cadere i frutti". L'agricoltore si deterge il sudore, insegue un pensiero, mentre sbuccia una ficodindia bianca: "Era il '72 o il '73 quando a Bronte si raccolsero pistacchi a quintali. La chiamarono l'annata del centenario, nell'ultimo secolo non si era verificato un avvenimento del genere, un ricordo che resterà indelebile per i contadini del mio paese. L'annata peggiore, invece, è stata quella del 2001: un raccolto scarsissimo causato dal gelo che in primavera colpì le piante e danneggiò le gemme". Ma un altro problema da risolvere è il prezzo: "Troppo alto, un chilo quest'anno viene venduto anche a 40mila lire. Purtroppo se ne produce poco rispetto a quello importato dagli Stati esteri, che ha costi più bassi. Il rimedio? Bisognerebbe migliorare le tecniche per aumentare la produzione, in modo da abbassare i prezzi. Ma questo non dipende solo da noi coltivatori". [Luciano Mirone] DOMENICO DE LUCA
Conversando di pistacchio al Circolo di Cultura Lo incontriamo al Circolo culturale "Cimbali", lungo il corso principale del paese. E' qui che trascorre le sue domeniche insieme con altri amici. Domenico De Luca, 71 anni portati con disinvoltura, insegnante di scuola elementare in pensione, ha nei geni la coltivazione del pistacchio. Con modi gentili c'invita a sederci per raccontare la sua storia. Sembra un assurdo ma non è stato facile trovare un produttore dei tanto decantati pistacchi per le vie della cittadina, parlare con il signor De Luca è stato quasi un colpo di fortuna. Probabilmente, sono tutti indaffarati in campagna, in preparazione anche dell'imminente sagra. Signor De Luca da quanti anni coltiva pistacchio? "Non ricordo. Da tante generazioni -risponde scavando tra i ricordi del passato -.Ancor prima di mio nonno avevamo già grandi vastità di terreno. Forse, siamo la prima famiglia di Bronte ad aver iniziato a produrre e commercializzare Poi, con gli anni, la terra è stata divisa tra gli eredi della mia famiglia e quasi tutti hanno scelto di vendere. Oggi sono rimasto l'unico a coltivare pistacchio." E' cambiato qualcosa nella produzione rispetto al passato? "In genere si produce di più. I pistacchieti sono meglio lavorati. Io produco intorno ai 50 quintali di pistacchio l'anno su un estensione di otto ettari. La mia terra è in contrada Mazzappello Saragoddio. Con il passare degli anni ci scontriamo, però, sempre più con la carenza di manodopera. Per la manutenzione delle piante occorrono lavoratori specializzati che stanno venendo a mancare. I giovani non vanno più in campagna, preferiscono studiare. A coltivare la terra sono rimasti solo gli anziani. Proprio quest'anno gli effetti della crisi della manodopera si sono fatti sentire pesantemente". Secondo lei come mai questa crisi di manodopera visto che il pistacchio è uno dei frutti più richiesti dal mercato e quindi facilmente commerciabile? "Ai giovani non interessa la campagna. Io ad esempio ho una bella azienda agricola ma mio figlio svolge un'altra professione e di campagna non ne vuole sapere. Non potrò tramandare a lui la mia passione. Non do tutti i torti a mio figlio. I sacrifici, i rischi, rispetto ai vantaggi che si possono ricavare sono troppi. Basta una brutta annata e tutto va perduto, come è successo lo scorso anno. Occorre molta pazienza e sacrificio. Per un terreno appena nato sono necessari 8-10 anni prima che si raggiunga la piena produzione". Che legame ha con la sua terra? "Per me è la vita; è sempre stata la mia passione. Ogni mattina vado in campagna a controllare le piante. Ricorda momenti di crisi, in passato, legati alla produzione del pistacchio? "No, veri momenti di crisi mai. Solo che oggi non c'è più proporzione tra il costo del frutto e la manodopera. A questo si aggiungono i commercianti che comprano a prezzi bassissimi il prodotto per, poi, rivenderlo a prezzi esagerati." Cosa potrebbe spingere i giovani a tornare in campagna? "Intanto gli amministratori locali dovrebbero invogliarli ad imparare il mestiere. E' necessario un intervento serio delle istituzioni". La sagra che ogni anno si tiene a Bronte quanto è stata importante per il rilancio del pistacchio e quindi dell'economia locale? "Molto. Il pistacchio che prima non si conosceva neanche a Catania ora è diventato conosciutissimo. In cucina, prima era utilizzato principalmente per i dolci, oggi preparano anche i condimenti per la pasta. Per l'economia locale ha un'influenza positiva, ma non basta". Lei come preferisce il pistacchio? "A me piace mangiarlo fresco, appena staccato dalla pianta, e nei dolci. Non c'è niente di più buono". Mentre Domenico De Luca parla abbiamo la sensazione che il tempo si sia fermato qui a Bronte: i vicoli, i volti della gente, lo stile di vita, gli odori sembrano appartenere al passato nel quale ci siamo tuffati per una buona mezz'ora. [Mary Sottile] |