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Simbolo e simbiosi del calcio brontese

Nunzio Calì

di Roberto Cannata

Nunzio Calì (foto a destra) era un personaggio strano, per molti aspetti controverso e lineare allo stesso tempo, compassato e vulcanico, razionale e passionale, eccezionale nella normalità ed imprevedibile nelle esternazioni.

Era colui a cui noi ragazzi, inebriati dalla passione calcistica, consegnavamo le nostre aspirazioni, affidavamo le piccole e pur modeste ambizioni.

Era, come si suole dire, un personaggio che se non ci fosse stato sarebbe stato opportuno inventare. Adesso vive serenamente la sua età, come ognuno di noi, felice di avere vissuto il suo tempo e noi felici di averlo condiviso con lui.

Fin dagli anni 1960 il gioco del calcio a Bronte, quello che era contato veramente, depurato dai successivi tentativi di emulazione, si identificava in Lui che ne era il simbolo e la simbiosi. Nuovo team manager della Polisportiva Bronte, venne ad osservare alcuni di noi, durante le partitelle che si disputavano dai monaci, per una selezione ed un probabile inserimento nella squadra juniores.

Essendo un convinto ed accanito tifoso della squadra del Milan, “esortò” chi non lo fosse ad abiurare la propria fede calcistica, un vero e proprio “auto da fè” da Santa Inquisizione che avrebbe permesso ad ognuno di noi di indossare le mitiche magliette rosso-nere cioè i colori sociali della Società Polisportiva Bronte. Però non era, è ovvio, una cosa seria (e anche Lui lo sapeva).

Nunzio Calì ha contribuito alla “crescita” di diverse generazioni di giovani, facendo sì che s'integrassero e che esprimessero compiuta­mente una personalità chiara e trasparente. Quante passeggiate lungo il Corso Umberto hanno visto noi ragazzi e Nunzio accompagnarci in discorsi che non riguardavano solo il calcio ma che, partendo da esso, si dipanavano in problematiche esistenziali e non!

Si disquisiva, ricordo, anche dell’opportunità o meno di avere rapporti sessuali alla vigilia di una partita. Il Calì sosteneva che era necessario astenersi, poiché non si faceva in tempo a recuperare le energie fisiche; io sostenevo, invece, che era importante scaricare la tensione, confortato in questo anche dalle nuove teorie dei calciatori olandesi che, a quel tempo, primi fra tutti, portarono con loro in ritiro mogli e fidanzate.

Polisportiva Bronte (campionato juniores 1960/61)Quelle passeggiate erano il prologo di un coinvolgimento più profondo, di una spiritualità che non andava disconosciuta, il cui fine sarebbe stato un'esaltazione o un ridimensionamento sportivo che rispecchiava la vita, la nostra vita. Il gioco del calcio ci trasmetteva tutto ciò e noi avevamo l’obbligo di apprendere per diventare protagonisti di noi stessi, per capire quanto è necessario sapere filtrare le emozioni e le sensazioni.

Il Nunzio Calì di allora era, come detto, un personaggio dalla personalità complessa e, per certi aspetti, controversa: tesseva i rapporti umani con notevole intuito psicologico, distruggeva a volte la trama in un impeto d’ira e poi ne raccordava l’ordito con le scuse del caso, significative di un gesto nobile e mai di debolezza o sottomissione.

Ricordo un episodio accaduto a Canicattì. Campionato di Prima Categoria, anno 1968/69, la squadra del Bronte giocava contro la Morandi. Dominavamo la partita in lungo e in largo sprecando però molte occasioni da rete. Il risultato non si schiodava dall’1 a 1 e, per colmo di sfortuna, s’infortunò seriamente un nostro difensore che costrinse il Calì a lasciare la panchina per accompagnarlo in ospedale.
La partita finì 3 a 1 per noi ed io realizzai una doppietta nel finale della gara ma il Calì, ignaro del risultato e contrariato per l’infortunio, reagì sconsideratamente ad una mia richiesta di rientro in macchina, con alcuni amici tifosi, anziché in pullman, rifilandomi un sonoro ceffone che incamerai senza reagire, ma che avrebbe legittimato la decisione di smetterla con il calcio a Bronte.
Non mi allenai più per oltre un mese e la squadra in quel lasso di tempo non vinse neanche una partita.

Polisportiva Bronte (Campionato di Prima Categoria anno 1971/72)Naturalmente si trattò di una coincidenza che favorì un ripensamento del Calì sul suo operato ed a chiedere scusa per quanto successo. Al che, da persone sagge, convenimmo che era meglio per tutti dare retta al buon senso anziché trincerarci in un ottuso, sterile orgoglio.

All’inizio della settimana che precedeva una partita, mister Calì era una persona affabile e lucida nella disamina comportamentale di ogni singolo. Ne rilevava gli errori precedenti e suggeriva gli accorgimenti per non rifarli, in modo pacato, quasi paternalistico, tenendo a sottolineare che una prestazione agonistica non può prescindere da un approccio mentale equilibrato.

Il pensare in modo assillante ad un avvenimento agonistico conduce, inevitabil­mente, ad uno svuotamento delle energie psico-fisiche e quindi ad un risultato mediocre se non addirittura negativo.

Questo è stato uno dei tanti grandi insegnamenti che ho appreso da Lui durante la mia quasi ventennale attività sportiva e che mi ha sempre accompagnato e guidato nei meandri della vita di relazione.

Dicevo che all’inizio della settimana mister Calì era una persona affabile, ma dall’antivigilia di una partita non era più lo stesso, lo si vedeva come caduto in “trance”, assumeva caratteristiche somatiche che non gli appartenevano. Con la fronte aggrottata ed una ritrosia inconsueta, immergeva il suo pensiero nelle soluzioni da adottare che lo proiettavano in una dimensione quasi surreale.

Questo modo di comportarsi, evidentemente, era l’antitesi dei suoi insegnamenti che, se pure in apparente stridente contrasto, rimarcavano la sua personalità pregna di caparbietà ed ostinata a tal punto da essere capace d’immolare affetti ed interessi per un fine nobile, parallelo ma non secondario all’attività sportiva, quale l’educazione morale di tantissimi giovani i quali avranno senz’altro sentito, in un momento della loro vita, il dovere di ringraziarlo “con le ginocchia della mente genuflesse”.
Roberto Cannata
1 Ottobre 2019


Nunzio Cali e alcuni suoi giocatoriNelle due foto sopra: La prima squadra di calcio juniores della Polisportiva Bronte (1960/61). In alto da sinistra: Nunzio Calì (allenatore), Petralia, Carmelo D’Urso, Greco, Roberto Cannata, Alfredo Catania, il prof. Turi Ventura (Presidente), Nino Biuso; in basso (da sinistra): Gino Sciacca, Nunzio Pappalardo, Enzo strano (portiere), Emilio Galvagno, Modica.

Seconda foto (a colori): la squadra del Bronte vincitrice del Campionato di Prima Categoria (anno 1971/72). Da sinistra, in alto: Romolo Cannata (medico sociale), Saro Trombetta (secondo portiere), Turi Bella, Gianni Cannata, Roberto Cannata, Mario Tamà, Pino Masuzzo, Toni Carbone, Nino Pace, Tano Scala, Nino Castiglione (Presidente Polisportiva Bronte); in basso, da sinistra: Nunzio Calì (allenatore), Petronilla (accompagnatore), due piccoli tifosi, Orazio Marino, Venero Rapisarda (capitano), Luigi Pace, Saro Signorello, Enzo Magnanti (portiere).

Nella foto a destra, alcuni giocatori della Polisportiva tornati a Bronte a trovare Nunzio Calì (primo a sinistra), fotografati due anni fa nella terrazza del Circolo di Cultura E. Cimbali.

  

Nunzio Calì nei ricordi di chi lo ha conosciuto

Lutto nel mondo del calcio brontese, morto Nunzio Calì

Il sindaco Calanna: «Intitolare a Nunzio Calì lo stadio comunale».

Lutto per il mondo sportivo di Bronte, che stamattina nella chiesa di San Giovanni ha dato l’ultimo saluto a Nunzio Calì, fondatore del calcio brontese e suo storico mecenate. Per tutti, il campo di calcio di via Dalmazia da oggi si chiama «Stadio comunale Nunzio Calì», anche per il sindaco Graziano Calanna, che ne proporrà la formale intitolazione.

Gli ex sindaci parlano di Nunzio Calì con ammirazione. Secondo Nino Paparo era «un uomo onesto e leale, sponsor e anima del calcio brontese» e Ciccio Spitaleri aggiunge: «L’opera e il personaggio sono vasti. Persona generosa e d’illimitata umanità, merita di essere ricordato dalle nuove generazioni».
Gino Anastasi spiega: «Ha dedicato gran parte della sua esistenza allo sport, per la sua amata Bronte. Dall’atletica, alla pallacanestro, al calcio che l’ha consacrato come allenatore, direttore sportivo, presidente del Bronte calcio, per un trentennio. È stato per tanti di noi educatore di sani principi e di correttezza sociale, praticata nei campi di gioco e fuori da essi».
Mario Zappia dichiara: «Il suo obiettivo principale era organizzare i ragazzi, dal punto di vista sia sociale (togliendoli dalla strada) sia sportivo, e individuare i migliori talenti da lanciare a livelli superiori».
L’ex sindaco e già senatore Pino Firrarello di Nunzio Calì ricorda: «Mecenate per eccellenza, con la sua presidenza il Bronte calcio ha raggiunto alti traguardi e sfornato campioni che avrebbero meritato palcoscenici migliori».

Oltre agli ex primi cittadini, anche gli ex consiglieri provinciali brontesi non potevano non conoscerlo. Per Antonello Caruso «ci lascia l’uomo che ha fatto la storia del calcio brontese, un grande uomo dentro e fuori dal campo», che Aldo Catania ricorda come «punto di riferimento insostituibile».

Questo, invece, il pensiero degli ex deputati regionali brontesi. Per Nunzio Calanna «lo sport a Bronte, in particolare il calcio, c’è in virtù del suo impegno disinteressato e appassionato, che ha investito risorse economiche non indifferenti, con molta generosità, senza chiedere sussidi ad alcuno»; Franco Catania, invece, spiega: «Nunzio Calì ha amato il calcio come pochi, fatto con impegno, correttezza e passione civile. Se Berlusconi avesse saputo quanto amasse il Milan gli avrebbe ceduto il posto di Presidente». Facilmente intuibile come sia nata la scelta dei colori del «piccolo Milan etneo», indossati ancora oggi dalla squadra e che oggi avvolgevano il feretro.

L’ex deputato europeo e sottosegretario di Stato Giuseppe Castiglione aggiunge: «Bronte perde un simbolo della passione per lo sport. Quella di Nunzio Calì è stata un’azione sociale intensa, che ha permesso a tanti ragazzi di sognare un futuro calcistico, ma proiettandoli verso una visione costruttiva della comunità brontese».

L’ex comandante della Polizia municipale Salvatore Tirendi, oggi presidente del Circolo di Cultura Enrico Cimbali, commenta: «Se n’è andata la leggenda del calcio brontese, oltre a un socio storico del circolo, che ha educato tanti giovani allo sport come regola di vita». Per la sua «sensibilità sportiva», il «diversamente giovane» 81enne Nunzio Calì, a maggio era stato premiato anche dal presidente del Circolo operaio, Arcangelo Gorgone.

Prima di concludere, la parola al suo amico Ciccio Lombardo, dirigente calcistico dell’era Calì insieme a Zino Piazza ed altri, che racconta: «Il Bronte calcio l’ha fondato Nunzio Calì nel 1960.
Lui è stato “il Presidente”, l’allenatore, il preparatore, il medico, sia della prima squadra sia del settore giovanile che seguiva sempre personalmente.
 

U zzu Nonziu (lo zio Nunzio, ndr), come affettuosamente lo chiamavamo, ha dedicato la vita al calcio, anche economicamente, ha vissuto da solo ma ha avuto tantissimi figli. Con grande piacere, oggi a rendergli l’ultimo omaggio ho visto tanti importanti giocatori che hanno fatto la storia del Bronte, locali (Catania, Landro, Lazzaro, Orefice, Scala, Straci) e di fuori (Carbone, Galvagno, Marano, Marino, Mulè, Pace, Pennisi, Rapisarda, Signorelli). Altri mi hanno chiamato dispiaciuti di non potere essere presenti all’ultimo saluto di un grande maestro di calcio e di vita. Sono sicuro che non ci sarà un altro Nunzio Calì».
Infine, il sindaco Graziano Calanna: «Un galantuomo di altri tempi che ha dato tantissimo alla società brontese. Ha speso la propria vita per i giovani, per questo proporrò di intitolare a Nunzio Calì lo stadio comunale». [Luigi Putrino, Giornale di Sicilia del 30 Settembre 2019]

Nella foto a destra (cliccaci sopra per ingrandire) un gruppo di ex giocatori del Bronte rende l'ultimo omaggio a Nunzio Calì. Si riconoscono da destra: Alfredo Catania, Toni Carbone, Carlo Cammarata, Roberto Cannata; dietro: Lorenzo Pennisi, e Paolo Catania; a seguire: Gino Lazzaro, Saro Scala, Francesco Lombardo, Venero Rapisarda, Mario Marano, Giacomo Straci e (in fondo) Ignazio Orefice.


Il Ciclope Bronte ricorda mister Calì

L'omaggio al presidentissimo Calì

Ciclope Bronte 3
Villaggio Sant'Agata 0

(...) Vittoria dedicata allo storico presidentissimo Nunzio Calì, venuto a mancare nella notte. Una vittoria che da lassù certamente apprezza, avendo maturato un enorme affetto e un'enorme esperienza imprescindibile anche per chi è giunto dopo di lui. I tifosi ricordano Calì per avere guidato a lungo la squadra e le sorti del calcio brontese, dove ha portato un tridente storico, quello composto da Melo Ranno, Alfio Tropea e Luigi Paci e altri campioni tra i quali Turi Calvagno e Mario Marano. (Benedetto Spanò, La Sicilia, 30 Settembre 2019)





A soli 30 anni vanta già un curriculum di tutto rispetto. Ha fatto anche interessanti scoperte nell'ambito dell’archeofood

Enrico Greco

Un chimico brontese in viaggio nel tempo tra tre continenti

di Maria Ausilia Boemi

Un chimico brontese, conteso tra 3 continenti, con le sue ricerche viaggia pure nel tempo: Enrico Greco, 30 anni, sposato, laureato in Scienze chimiche all’università di Catania, dottorato sempre a Catania, si divide oggi tra Cina, Usa e Francia, spaziando dall’archeologia ai materiali del futuro come il “magico” grafene.
«Già il dottorato - spiega Enrico Greco - l’ho fatto dividendomi tra Catania, università di Marsiglia, Cnr di Roma, ateneo di Pechino e University of South Florida». Il dottorato è finito a dicembre 2017, ma già a fine agosto Greco aveva ricevuto 6 proposte di lavoro (tutte straniere, «dall’Italia zero»), tra cui quella di un post-doc dall’ateneo di Pechino, università tra le 20 migliori al mondo, dove si trova oggi con una posizione per ricercatori eccellenti stranieri.

Contemporaneamente, con l’università della South Florida, è iniziata «una collaborazione per analizzare residui solidi da scavi archeologici per identificare olio, vino, cibi cotti o residui rimasti in giare votive in siti archeologici.
Abbiamo scoperto uno dei vini più antichi del mondo a Sciacca (quando l’abbiamo pubbli­cato era il più antico, poi è stato superato da altri di origine georgiana e armena) e ora continuiamo la collaborazione (io con la qualifica di Honorary Research Fellow, ma lì sono anche co-fondatore del Center for food and wine history) analizzando campioni maltesi e libanesi sui quali a breve pubblicheremo risultati».

Sempre nel campo dell’archeofood, l’anno scorso, invece, «in una collaborazione tra università di Catania e del Cairo (di cui ero primo autore, coordinata dai prof. Enrico Ciliberto e Salvatore Foti e portata avanti coi colleghi Rosaria Saletti e Vincenzo Cunsolo) e svilup­pando un protocollo di proteomica specifico, abbiamo scoperto il residuo solido di formaggio più antico del mondo: risale a 3.200 anni fa, era un mix da latte bovino e ovino e vi abbiamo trovato la prima evidenza biomolecolare del batterio della brucellosi in Egitto».

Dalla preistoria al futuro spinto: non viaggia infatti solo nello spazio tra tre continenti il chimico brontese, ma anche nel tempo.

«All’università di Pechino mi occupo dello sviluppo di uno dei materiali più innovativi attuali: un aerogel di grafene. Il grafene è un foglietto dello spessore di un atomo (il materiale quindi più sottile immaginabile) composto solo di atomi di carbonio. Io unisco questi foglietti in strutture tridimensionali spugnose molto grandi, per ottenere campioni solidi di dimensioni di centimetri o decimetri di materiale estremamente poroso e leggero (il più leggero ottenibile oggi)
Monto queste strutture e modifico il grafene con altre molecole per conferirgli determinate capacità progettate precedente­mente: in questo momento, ad esempio, sto facendo un grafene ossido in aerogel unito con un polimero conduttivo per aumentarne le capacità di conduzione elettrica. Stiamo anche montando nanoparticelle di biossido di titanio dopato per conferire al grafene capacità fotoca­talitiche e utilizzarlo così come filtro e riduttore di inquinanti ambientali per l’atmosfera».

Una spiegazione in parole povere di concetti e ricerche estremamente complicati, i cui utilizzi sono i più disparati: «Dall’industria auto­mo­bilistica a quella aerospaziale e ambientale. Io lavoro per il College di scienze e ingegneria ambientale, quindi le applica­zioni che progettiamo sono vocate alla creazione di materiali rispettosi dell’ambiente in fase produttiva e che anche nell’utilizzo possano migliorare l’inquinamento atmosferico e delle acque».

E finora siamo a due continenti (America e Asia): ma con il post-doc a Marsiglia entra in scena l’Europa.

«Il prof. Stéphane Viel dell’università di Marsiglia ha vinto un grant per un progetto del cui team faccio parte perché mi conosce­vano dai tempi del dottorato e serviva loro una figura con competenze specifiche proprio sulle tecniche che uso a Pechino. Ho dovuto quindi anticipare i tempi perché il mio contratto di post-doc a Pechino finirà il 15 marzo 2020, mentre quello (pure per post-doc) a Marsiglia inizia il prossimo 1 aprile.
Ho dovuto conciliare le due cose, mantenendo la collaborazione con entrambe le università, interessate a temi comuni: ai cinesi interes­sa studiare l’inquinamento atmosferico con la tecnica di cui sopra, che è la Risonanza magnetica nucleare in stato solido modificata con un nuovo prototipo di sonda che è la Dynamic Nuclear Polarization. A Marsiglia dovrò sviluppare al meglio materiali che possano essere analizzati con la Dnp per la risonanza magnetica nucleare in stato solido. Mi dividerò così tra Cina, Francia e Florida».

Un cervello etneo, quindi, conteso tra 3 continenti: «La mia grande fortuna - sottolinea Enrico Greco – è il background estrema­mente solido che mi ha fornito l’università di Catania. Gli studi in Italia sono di altissima qualità e mi ritengo molto fortunato di avere studiato a Catania che, pur con tutte le difficoltà tecniche per carenza di fondi, ha una qualità dell’insegnamento e delle conoscenze elevatissime. Il background che ho ricevuto a Catania mi ha permesso di avere una flessibilità mentale per risolvere problemi specifici utilizzando una solida multidisciplinarietà».

Un motivo per il quale gli italiani sono molto richiesti. E l’Italia se li fa sfuggire, dopo avere investito tanti soldi per prepararli in maniera così eccellente: «Ci vorrebbe una politica diversa, si dovrebbe spendere molto di più in ricerca. Riusciamo a rimanere al top mondiale pur non avendo la stessa quantità di investimenti di altre nazioni, riusciamo a competere con gli Usa pur avendo forse un centesimo dei finanzia­menti che hanno gli atenei americani, a competere con la Cina che ha tantissimi soldi ma non ha sviluppato una solida cultura nella ricerca. Ed è quella che i cinesi cercano in tutti i ricercatori europei ed americani che attraggono qui.
Noi sostanzialmente qui siamo una risorsa: la Cina, gli Usa, la Francia non hanno speso un centesimo per la mia formazione, tutta pagata dallo Stato italiano, ma appena all’inizio della mia carriera produttiva, ancora sei mesi prima di finire il dottorato, avevo ricevuto proposte di lavoro come ost-doc in diverse università americane, europee, cinese, arabe. Dall’Italia zero. E come me gli altri miei colleghi. Siamo quasi tutti all’estero, tranne una collega rimasta in Italia perché ha vinto il concorso nella polizia scientifica».

Tutti all’estero, ma disponibili a tornare «alle giuste condizioni», perché per il dott. Greco c’è il cruccio umano della lontananza della famiglia, ma soprattutto «vorrei fare ricerca nel mio Paese e aiutare l’Italia. Io lavoro qui su tecnologie all’avanguardia, applicazioni sensibili per il futuro, però lo sto facendo per un altro Paese.
Cina, Usa, Germania, Francia vanno avanti e noi rimaniamo indietro su tanti temi e tecnologie sensibili. Le università italiane continuano a fare ricerca d’eccellenza ma avrebbero bisogno di una ventata di aria fresca: assumere più giovani e disporre di maggiori fondi. Non si può pensare che ne vanno dieci in pensione e se ne assume uno.
Nel resto del mondo è esattamente il contrario: va in pensione uno e ne assumono dieci, perché sanno che ogni singolo soldo speso nella ricerca scientifica ha un ritorno che mediamente va da 7 a 10 volte. Però non è un ritorno immediato, quello che serve alla politica per fare campagna elettorale. In Cina finora il finanziamento alla ricerca è stato enorme e basato su piani pluriennali.
Io qui ho vinto questa posizione di eccellenza, ho un ottimo stipendio, benefit, mi hanno supportato nel disbrigo delle pratiche burocra­tiche, mi hanno assegnato gratuitamente un appartamento nel campus in un compound di 9 edifici che ospita circa 2.000 ricercatori e studenti solo stranieri e, come primo grant di ricerca, mi hanno messo a disposizione 4 milioni di euro.
Mi hanno dato carta bianca nella ricerca. Venendo da Catania e avendo quindi una cultura legata all’ottimizzazione delle risorse, ho preparato un piano più economico ma un po’ meno efficiente e uno più efficiente ma più dispendioso. Loro mi hanno detto: “Non ci sono problemi, hai 4 milioni di euro di fondi, spendili”. Arrivato da poco meno di due settimane, ho detto che avremmo dovuto com­prare un macchinario da 200mila euro. La risposta è stata: “Ok, compralo”. Mi piacerebbe fare ricerca a Catania, però…».

Altro mondo, altra mentalità, altre opportunità in una Cina diversa da quella che noi occidentali immaginiamo: «Pechino o Shanghai sono città estremamente cosmopolite. Il mondo sta passando da qua, ci sono persone di tutti i continenti, si trova di tutto: non il pistacchio di Bronte (quello me lo porto da casa), però se voglio la ricotta fresca ragusana, le mozzarelle o il parmigiano li trovo senza problemi. Se voglio la pizza, ci sono ottime pizzerie napoletane di grandissima tradizione.
Tutto il mondo, il futuro sta passando da qui, i migliori articoli pubblicati nell’ultimo anno hanno almeno un’università cinese tra quelle affiliate, i cinesi stanno veramente pompando gli investimenti e lo stanno facendo bene. Io spero che qualcuno da noi prenda esempio, però è difficile: qui pianificano anche fino a 40 anni, sanno dove vogliono arrivare, investono e lo fanno. Qui è tutto avanzatissimo, ipertecnologico: poi torno in Italia e non mi accettano la carta di credito e mi sembra di tornare alla preistoria».

Una “preistoria” per la quale però è forte la nostalgia «di famiglia, amici, colleghi, dell’Etna, del mio pistacchieto, del mangiare all’aperto», mentre non manca al dott. Greco «l’inefficienza, il modo in cui non sappiamo gestire i nostri patrimoni umani e le risorse, la burocrazia. Non mi manca il clientelarismo: qui, come in Francia e negli Usa, importa solo quello che so fare, è veramente tutto basato sul merito. In Sicilia no. Ho trovato persone eccezionali, come il prof. Enrico Ciliberto e il prof. Roberto Purrello che non smetterò mai di ringraziare, però ho avuto anche difficoltà in altri casi e questo non mi manca per niente».

Nessun rimpianto, ovviamente - «Faccio in realtà quello che mi piace, cioè ricerca a ottimi livelli» - anche se «andare via dalla Sicilia è difficile, è complesso staccarsi da un ambiente confortevole. Però credo che per la mia generazione fare delle esperienze, soprattutto in questa parte del mondo, è fondamentale».

E un giramondo che ha visitato più di 35 Paesi negli ultimi 10 anni non può che consigliare ai giovani coetanei «di viaggiare il più possibile e di scoprire la diversità. Senza mai dimenticare le proprie radici o la propria identità: io sono fieramente italiano, fieramente siciliano, catanese, brontese, non lo rinnego e lo porto sempre con me.
Non per questo, però, mi sono fossilizzato. Suggerisco a chi può, a chi vuole, di non avere pregiudizi verso l’Asia, la Cina, il Giappone o altri Paesi emergenti come il Vietnam, il Sud-est asiatico, fucina del futuro. Aprirsi al mondo, insomma, imparare le lingue e viaggiare».

Certo, «l’adattabilità è fondamentale. Tre anni fa quando venni qui durante il mio dottorato presi un appartamento veramente fatiscente, poi però mi sono adattato e questa esperienza mi ha temprato. La flessibilità e l’adattamento sono fondamentali per capire come funzionano le cose in altri posti e comprendere che il proprio orticello non è il mondo».
[Testo e foto tratti da La Sicilia, rubrica "Sicilians", 11 Marzo 2019]
 


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