L'OPINIONE DI ...

RIFLESSIONI al FEMMINILE

a cura di Laura Castiglione

OGNI TANTO UNO SGUARDO AL FEMMINILE AL MONDO CHE CI CIRCONDA

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Altro che maschi… fìmmini ci vòrunu!

La mamma che vive cent’anni

Una volta si facevano tanti figli sia per ignoranza sia perché si andava alla ricerca spasmodica del maschio. E oggi come vanno le cose?

I contraccettivi si trovano accanto alla cassa dei supermercati, semmai si dovessero dimenticare. Si programma un solo figlio a quarant’anni; un secondo, se la coppia ha coraggio o se il primo è maschio: si va alla ricerca della femmina.

Come mai questa inversione di preferenza? Le esigenze di paternità verso il maschio sono venute meno?
No, la donna ha preso piede anche sulla scelta del sesso dei “suoi” figli.
Ma cosa hanno in comune mamma e figlia?

Sono donne di generazioni diverse ma legate da un complesso nodo di intimità e amore senza conflitto; condividono e parlano di sessualità, di politica, delle stagioni della vita, di lavoro, di religione, di relazioni.

La mamma addestra la figlia a realizzare i suoi sogni spezzati e la figlia impara a non farsi spezzare i propri. La loro complicità esclude i rispettivi compagni e se il marito è bravo, lo considerano un coglione e se per puro caso fa l’uomo rispondono in duetto: ma chi vvori chissu?

Questo stato di grazia dura tutta una vita e non è circoscritto al solo periodo dell’infanzia come è, e sarebbe, naturale, tanto da scatenare l’invidia della mamma di figlio che non prova a nasconderla, anzi va oltre… “aldilà”.


(acrilico di Caterina Giganti)

Se ci guardiamo intorno, la mamma di figlio si ricogghj ’i pupa, secondo le statistiche, intorno ai settant’anni mentre la mamma di figlia supera i novanta e raggiunge anche i cento.

La mia consuocera ha tre figlie, non ci voglio pensare a che età arriverà! E io non ci sarò per dimostrare, con prove alla mano, la mia tesi!

La mamma di figlia vive meglio e a lungo, troppo a lungo, un’esagerazione! Al contrario della mamma di figlio che si rode il fegato: l’organo più complesso del nostro corpo con preziosissime funzioni e fra tutte, quella di catturare e distruggere sostanze e “circostanze” tossiche che il corpo assume. L’eccessiva produzione di bile dà origine a patologie mentali e mortali: malinconia e depressione.

Mens sana in corpore sano… e ho detto tutto!

Ancora giugno, 40° all’ombra

Le nozze d’oro

Cc'è veramenti ri ciàngiri!

Una coppia festeggia le nozze d’oro. Ma perché si chia­mano d’oro?

Perché c’è una denominazione tradizionale per indicare il regalo che è d’uso farsi reciprocamente nelle ricorrenze degli anni trascorsi insieme. Venticinque: nozze d’ar­gento; cinquanta: nozze d’oro; sessanta: nozze di diamante… tirrùrii!

Cinquant’anni iniziati e trascorsi con un estraneo che si festeggiano con un estraneo e ci si premia pure con un regalo d’oro.

Il ricordo di emozioni e di sguardi; brevi attese che sembravano lunghe e interminabili attese; si addormentavano abbracciati e non per scaldarsi i piedi; lui sognava una mogliettina dolce e carina; lei era orgogliosa del suo principe azzurro che sguainava la spada contro chi osava con interesse guardarla; lui la cullava e lei lo viziava.

Il mondo era solo il loro mondo, la luna la loro luna, il sole sorgeva solo per loro.

E oggi? Senza pudore festeggiano le nozze d’oro e a chi li osserva sembrano di piombo: il mondo, la luna, il sole, appartengono a tutti e la spada della gelosia resta nella guaina.
Si rimproverano, si stuzzicano e un po’ insofferenti si scaldano i piedi gelati.

Le giovani coppie temono di diventare come loro perché li vedono un po’ brutti, un po’ vecchi e forse, qualche volta, anche un po’ cattivi. Si chiedono se è responsabile quel maledetto innamoramento che li aveva accecati mettendo al buio la realtà; cercano risposte e trovano in una consensuale e salutare separazione una via di scampo per questi poveretti!

Gli interessati, anche a volerlo, non sono più in tempo mentre i giovani lo sono per fare una domanda diretta ai festeggiati: ma perché dopo mezzo secolo state ancora insieme?

Ricevono una risposta che li spiazza: la più convincente e carica di umanità, un flash su tutta la loro esistenza, una carezza commovente: - perché ci siamo affezionati! -

Questa è la riflessione più breve che io abbia fatto, non ci vogliono tante parole, non ci sono segreti da custodire: ci vuole una forte dose di amore, una fortissima di affetto e poi…

Giugno 2014

Cara Laura,

ho letto il tuo ultimo pezzo e mi vie­ne di dire che esso è un lungo, ap­pas­sio­nato e dolce rim­pianto del­la vita tra­scorsa con il tuo pa­ziente Gino.

E scusa se è poco, an­che se la tua fine ironia lo vorreb­be smi­nuire ma senza riuscirvi.

Un caro abbraccio a entram­bi

Nicola Lupo

 

Ah! Quanto è bello, essere malati… mentali!

I freni inibitori… che non frenano!

L’inibizione è un processo che reprime un’azione; è un ritardo nella reazione agli stimoli, ad una pulsione o ad un desiderio.

La psicoanalisi non è una scienza esatta ma sostiene con certezza che quando si perdono i freni inibitori è malattia.

E a noi conviene condividere questa affermazione! Se siamo alla guida della nostra macchina, chi ci segue strimpella insofferente il clacson, anche per futili motivi, e noi esasperati reagiamo; quando in tv alcuni perdono le staffe e le loro voci si sovrappongono le une sulle altre alzandone il tono, noi al di qua dello schermo inveiamo con turpiloquio sfrenato anche se ci stanno appena appena antipatici.

Abbiamo tutti perduto i freni inibitori e siamo tutti malati? Certo che a rifletterci un po’ è una bella malattia che fa stare meglio e senza rischiare una denunzia.

E’ un lusso che ci si può permettere solo stando protetti dal televisore, perché nella quotidianità riceveremmo ben altro e per ovviare al rischio un’idea ce l’avrei: fingersi malati! Iniziare gradualmente, come ho consigliato in altre occasioni, scusandoci e meravigliandoci di noi stessi: non mi riconosco, non sono più io!

Le reazioni, non necessariamente alle provocazioni, le lasciamo libere senza che passino da quel filtro che ci faceva apparire sani, prudenti e controllati. Possiamo essere certi che la voce circolerà come un venticello e chi ci verrà vicino deporrà le armi di attacco; ci lascerà dire ogni genere di stronzate senza che reagisca perché noi, poveretti, siamo malati!

Certo non è bello essere considerati malati mentali o, ad una certa età, rincoglioniti ma a noi che ce ne frega! Quando si pensa che non si ha nulla da perdere, almeno, si faccia qualcosa per avere tutto da guadagnare anche se una vita spericolata.

Abbiamo voglia di dire coglione ad un tizio? Diciamoglielo!

Vogliamo mandare qualcuno a quel paese, facciamolo, e senza pensare: va ffa ‘nculo tu e 'a buttana 'i to soru!

Ah! Quanto è bello, essere malati… mentali!

Io oggi ne ho servito un paio, dei miei lettori, e sono appena agli inizi della malattia, constaterete in seguito come si evolverà!

Quasi fine Maggio 2014

Buon I° Maggio, Luigi!

Da 58 anni “all’attacco” de' l‘Unità

Luigi a vent’anni parte dal sud per recarsi al nord. Trova lavoro, casa e la sede del circolo del PCI. Si tessera al partito e ha un incarico di responsabilità: la divulgazione delle idee comuniste.

Luigi, detto Gigi, "all'attacco" de L'UnitàOgni mattina, da cinquantotto anni, affigge o “attacca” l’Unità, foglio dopo foglio, ad una bacheca da lui costruita.
Chi passa legge, s’informa, commenta insieme a Luigi, detto Gigi, che tutti conoscono da sempre e l’hanno visto invecchiare insieme alla sua tracolla sgualcita.

Quanti segretari di partito gli sono passati sotto gli occhi che via via si sono allontanati dalla madre Russia senza che lui ne abbia capito i perché!

Il PCI di Togliatti e di Berlinguer ora PD per Gigi non è più lo stesso. I suoi sogni gli tornano in mente e le promesse sono state deluse. Ormai in pensione, è rimasto “all’attacco” ma fa il suo dovere col suo berretto elmetto come un soldato.

Ogni mattina, tranne che piova, acquista una copia de’ l’Unità a spese del partito e un’altra con i suoi soldi che leggerà dopo pranzo, con calma, per cercare di capire chi è ancora comunista, chi ha tradito o chi sta per tradire gli ultimi ideali.

Non si lamenta della sua pensione di milleduecento euro mensili e, per la causa, trecentosettanta l’anno li spende per comprare l’Unità e cinquanta per la tessera del partito. Gigi non discute, non vede o non vuole vedere che i suoi vecchi compagni sono cambiati.

Molti si sono fatti i soldi tranne lui, molti sono diventati importanti tranne lui; qualcuno si è fatta la barca tranne lui; molti hanno i figli sistemati e lui disoccupati; molti hanno la donna tranne lui che ha sempre la sua vecchietta che lavora ancora ad ore; tutti negano di essere stati comunisti tranne lui che ne va orgoglioso; molti dicono di essere onesti ma lui lo è.

Gigi è rimasto fedele, ci crede ancora e fiero alza il braccio col pugno chiuso alla sua bandiera rossa con la falce e il martello mentre la saluta:
 - ciao, bella ciao!

Caro Gigi, anche la musica non è più la stessa… Goran Bregovic ha fatto di “Bella ciao” un arrangiamento inedito, allegro e sfrenato.

Buon I° Maggio!

Discrezione, invadenza, indifferenza, viltà, …

L’Angelo umano

Molti sono gli incontri che si fanno in tutta una vita; alcuni passano inosservati e si dimenticano, altri diventano amicizia o amore, ma uno solo, anche con un estraneo durato pochi minuti può lasciare il segno, essere determi­nante o cambiare tutta un’esistenza!

E’ capitato a tutti dire di qualcuno che se non avesse incontrato quel giorno o non si fosse trovato in quel posto quella persona, quasi ad attenderlo per aiutarlo ad attraversare la sua strada, gli eventi avrebbero preso un’altra piega o la sua vita sarebbe stata peggiore; oppure qualche volta si è stati sul punto di fare una scelta che avrebbe meritato una riflessione in più che non si è fatta ed ecco che un angelo umano, come piace a me chiamarlo, all’im­prov­viso ci ha fermati e fatto riflettere.

Oggi è difficile trovare qualcuno che ci fermi quando sbagliamo o ci faccia riflettere perché è diventato un vezzo dire di non essere invadenti, sapersi fare i fatti propri, e affinché il messaggio fosse chiaro e forte a tutti si è fatta anche una legge sulla privacy.

I genitori rispettano le scelte dei figli; gli amici quelle degli amici; i condomini quelle del dirimpettaio e restano sorpresi quando è derubato o ucciso perché i suoi rumori di sempre non sono familiari e quelli diversi non li hanno allarmati.

E’ discrezione, osservanza della legge, viltà, indifferenza, cos’è?

Si può restare muti a guardare, perdendo l’occasione di essere l’angelo umano di qualcuno, sia che stia a cuore sia che si incontri nell’ascensore? Certo non tutti accettano interferenze perché il rientro quasi forzato nei binari, anche se porta in salvo, umilia. Così com’è imbarazzante l’indecisione di aiutare qualcuno in difficoltà o di lasciarlo al suo destino.

Ma non è il destino che decide per noi o per gli altri, è l’angelo umano, è la giusta invadenza che è un pregio e non un difetto.

Non servono riflessioni per farsi largo nella mischia di coloro che si dichiarano discreti e per aprire le ali, e volare, e puntare chi senza saperlo ci invoca!

E chi resta ‘nda vita…!

Sol chi non lascia eredità di affetti poca gioia ha dell’urna” (Foscolo)

Buon lunedì dell’Angelo ai miei lettori.

La “buona” suocera mamma di figlia

Matrimonio d’amore o d’interesse?

Matrimonio d’interesse: i genitori, una volta, sceglievano a tavolino per la figlia un bravo ragazzo e la sua posizione economica. Lo accoglievano in casa ed erano tutti contenti, tranne gli interessati che lasciavano il cuore, straziato, altrove.

Matrimonio d’amore: due innamorati sfidavano l’ira dei genitori e andavano a vivere, poveri ma felici, in una capanna.

Entrambi i progetti duravano nel tempo.

Oggi non dura né l’uno né l’altro, però, la cosiddetta buona suocera, mamma di figlia, non vuol farsene una ragione e mette in atto una strategia che pare stia mettendo radici.

Naturalmente sono alcune di queste mamme, le altre per il momento stanno a guardare. Mentre la buona donna pettina i setosi capelli dell’adorata figlia, pensa che nessuno la meriti e se non ci sarà lei a proteggerla, qualche stronzo la farà piangere.

Riesce così a pianificare il matrimonio d’amore per trasformarlo in quello d’interesse per la figlia, sicura che duri.

Entrato in casa l’ignaro ragazzo, che ha deluso la sua famiglia nelle sue attese e si sente incompreso, la buona suocera gli offre conforto, gratificazione e non solo: farà di lui il marito ideale per la sua principessa e glielo cucirà addosso come un vestito attillato.

Egli è felice d’aver trovato una vera famiglia, si allontana dalla sua d’origine e si integra nella nuova.

Noi non ci soffermiamo sui dettagli, variano secondo l’estro, e ci limitiamo a riportare una frase comune a queste buone donne che dicono al giovanotto mentre gli consegnano la figlia come fosse una porcellana di Capodimonte:

 - Vedi, figlio mio, stiamo mettendo nelle tue mani il nostro tesoro più grande, il pilastro, ‘u cummu, (il colmo) della nostra casa!

E il poveretto, imbarazzato, non sa se posare la statuina sul comodino, farsi la santa croce e baciarla come un santino religioso prima di addormentarsi o se volendo, potrebbe, poggiarla qualche volta sul letto. Sa di certo che non deve fare colpi di testa, lui sposa la causa, altrimenti sarà causa dei suoi mali!

- Ma, me figghiu, chi nnicchi e nnacchi, con questa gente - si chiede la madre del giovanotto - e perché ci sta?

Noi non reagiamo a questa provocazione con una risposta ovvia, constatiamo solo che i tempi sono cambiati...

ma la musica è sempre la stessa.

Primi di aprile 2014

Il gigolo e la puttana

Cambia solo il suono

Dai ricordi di scuola, quando s’imparava il francese scritto, letto e poco parlato, rimangono i suoni. L’erre moscia, i dittonghi pronunciati con le labbra a mo’ di bacio come monamour, tutta una parola, differente dal nostro, amore mio, staccato.

Qualcuno sostiene che il francese sia una lingua partorita da una donna languida e sensuale, nulla a che spartire con la dura lingua tedesca, a meno che, in una coppia non si abbini un tedesco con una francese.

Ma è solo un’opinione! Tra le tante parole francesi il nostro orecchio cade su gigolo, maschile di gigolette; in inglese, sex worker, maschile e femminile; in americano, hustler, maschile e femminile; in italiano, puttana, ha solo il femminile perché neppure il dialetto siciliano, che affonda le sue origini nella lingua di tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo, è riuscito a dare il genere maschile a puttana.

E’ discriminante, anche se non è poi così difficile porvi riparo! Se, alla maggior parte dei vocaboli, per cambiargli “sesso”, si muta la desinenza, presto è fatto e corretto: puttana, maschile puttano.

Gigolo, in francese, ha un suono che richiama un gioco di un giuggiolone, il contrario di puttana che ha il suono quasi di uno sputo.

Anche la sua definizione non suscita scandalo: il gigolo accompagna ricche signore. E’ galante, fa il baciamano, non è mai volgare, è discreto, anche quando accompagna gli uomini o il suo cantante preferito o il politico che segue dietro le quinte, quasi a volersi nascondere o a voler nascondere la sua giovane età che potrebbe mettere in imbarazzo.

"Il baciamano", di Rita Protopapa

Al contrario della giovanissima ragazza che accompagna un uomo di età! Ma perché, tanta riservatezza?

E’ un compagno che accompagna, è un gentleman, è un altruista che giocherella col suo Rolex e la sua decappottabile.

Non ama le case chiuse, vive all’aperto in piscina e ascolta “un’altra musica” mentre legge i giornali dove non si scrive male di lui, anzi, non si scrive: “un po’ dimenticato nel cono della notte…” anche se, cade anche lui nella rete di chi lo tiene prigioniero in una giovinezza che perde.

Gigolo o puttana non c’è differenza! C’è, invece: sta tutta nel languido e sensuale suono francese: jiigolòò!

21 Marzo 2014, è arrivata la primavera

Cari anziani, ancora peri peri siti?

Come recuperare 13 milioni… di posti di lavoro!

Oggi tutto scorre velocemente. Ma non proprio tutto!

L’ultimo modello di cellulare, dopo sei mesi, è superato; il computer di nuovissima generazione mette in crisi cu mègghiu si senti; non si fa in tempo a sposarsi che c’è pronto il rimpiazzo; i giovanili anziani, rimasti vedovi, assumono una polacca e subito si rinfrescano, in brontese, si mèntunu l’acqua ‘ncasza.

Gli economisti, che non sanno come creare posti di lavoro, alla vista dei disoccupati scappano veloci come furetti.

Noi che siamo, ancora per poco, fra coloro che vanno di fretta ci facciamo un giro. Entriamo in un ospedale per prenotare una visita? Scopriamo che gli anziani hanno preso possesso di tutto e bisogna aspettare il 2016 per avere una prestazione medica. Nell’attesa, si po’ mòriri! Andiamo in una struttura privata, sperando di avere fortuna? C’è già il numero chiuso dai soliti aventi diritto e quello aperto è a pagamento. In farmacia siamo al ventesimo posto, fisicamente fuori al freddo, mentre gli anziani, dentro e incuranti, fanno lunghe conversazioni col farmacista.

Nell’ufficio postale? Manco a farlo apposta è il 24 del mese e li troviamo in fila per due con l’accompagnatore.

In questi giorni di carnevale, non ne parliamo, sono tutti affannati a fare “chiacchiere” per prenotare dove andare a festeggiare.

Facciamo due conti?

I pensionati pagati dall’INPS sono 13 milioni? Esattamente, i posti di lavoro da recuperare!
L’INPS risparmia; gli ospedali hanno finalmente posti liberi; gli eredi si strìcanu i mani, rottamano le vecchie macchine, le rimpiazzano con le nuove e, la Fiat, non menti pullicini o suri e resta in Italia; le polacche tornano al paesello e fanno contenta la Lega.

Scanso equivoci, via anche quelle signore aspiranti alla reversibilità che hanno giocato solo  a carte e si sono alzate tardi la mattina.

Ma non sarebbe una cattiva idea! E non è neppure nuova!
Nel burrone del Taigeto sono stati rinvenuti scheletri di adulti buttati dagli Spartani. Che fossero i loro vecchi!

Non c’è niente di nuovo sotto il sole!

Oggi i giovani, appena incontrano anziani, educatamente li salutano: ancora peri peri siti? quandu vi ricugghiti i pupa?

Cari amici anziani, asciugatevi il freddo sudore: è uno scherzo di carnevale!

27 febbraio 2014, giovedì laddaroru

 

Uoomo!

Ma che invidia e invidia!

L’uomo si lecca le ferite sempre aperte che gli produce il suo difetto più evidente. E qual’è?

Uoomo… e ho detto tutto! Le lettere in grassetto non sono un errore di battitura, indicano un suono prolungato, ironico ma senza goduria, imitando Totò che in “Miseria e nobiltà” dice: cuooco, che bella parola!

L’uomo come un cuoco che non è geloso, non ha segreti, è un libro di cucina aperto, sa dosare gli ingredienti, non brucia gli arrosti e non fa impazzire la maionese; eppure, le donne si bruciano e impazziscono per lui ma appena assaggiano i suoi manicaretti, ne vogliono cambiare le dosi e gli aromi.

Sarà perché nella stessa cucina due cuochi non riescono a convivere? Sarà perché la donna ama farsi del male e s’illude di poterlo cambiare?

Da sempre ci tenta, ahimè, senza riuscirvi! E come un gattino che si guarda allo specchio e desidera essere un leone, la donna invidia l’uomo e, oggi, tenta un’ultima strategia!

Sarà quella buona? Virendu facendu!

E’ vero che “l’uomo fa molte cose per essere amato e fa anche di tutto per essere invidiato” (Mark Twain), ma l’uomo è proprio da invidiare? La donna ha testa e sta perdendo la testa?

L’uomo, non avendo testa non perde la testa, non imita la donna e non la invidia. Oddio, qualcosa gliela invidia: le parti tonde, per averle sempre a portata di mano! Ma rimane fedele a se stesso. Mostra al mondo con orgoglio i suoi trofei; non si colpe­volizza, non si chiede se sbaglia e se deve cambiare, anzi, è lui che cambia la vita della donna e quando non vuole perderla, la uccide in un raptus d’amore, dice lui, e mai si fa uccidere.

E allora? Camma ffari?

Accettarlo? Tenerlo fuori dalla propria cucina, abitare in due appartamenti uno di fronte all’altro e fargli un gesto di ringraziamento attraverso i vetri, il mattino dopo?

Portarlo a Lourdes e annegarlo nelle acque sacre? Niente paura: galleggia!

Sono le domande che spingono a fermarsi e a riflettere; ogni donna si dia le risposte che crede ma non metta in imbarazzo chi non trova proprio nulla da invidiargli, soprattutto, quelle piccole parti tonde che solo lui vede giganti.

Buon S. Valentino
ai pochi uomini che sanno amare!

Terapia d’urto

La soddisfazione di essere “stronzi”

Il termine stronzo qualifica un “signore” dal comportamento spregevole. Tutti lo sappiamo pronunciare col tono giusto, a voce alta o bassa; non ha sinonimi: è insostituibile!

Purtroppo non si può tracciare il profilo fisico dello stronzo perchè il suo aspetto non è modificato dall’ambiente né da fattori ereditari, anche se a volte si dice: tale padre tale figlio.

Fa la differenza se è istruito, ha titolo e soprannome: Dott. Tizio, detto stronzo!

E’ appannaggio del genere umano e lo è per le cose inanimate quando non funzionano. Ciò che accomuna gli stronzi è la soddisfazione che provano, altrimenti, quale altro motivo li spingerebbe?

Chi non lo è, mostra disagio se qualche volta lo è stato, si controlla per non ripetersi e non perchè sia una persona gradevole ma perchè non conosce gli effetti benefici che ne avrebbe! Si potrebbe considerare, anche, una forma d’arte da riconoscere e, perchè no, da emulare.

Sarà capitato anche a noi di ricevere questa qualifica e ritenendola, inappropriata oltre che offensiva, non ne abbiamo colto quel certo benessere.

Certamente per diventare stronzi non si può improvvisare ma si potrebbe osservare con attenzione il parente o il conoscente, maestro nel campo, che sa come agire con il minimo della fatica per avere il massimo del piacere. Ci vuole allenamento, a piccoli passi furtivi per non insospettire il professionista in agguato pronto a toglierci la scena.

L’obiettivo non deve essere quello di superare il maestro; restare “mezze maniche” gratifica ugualmente, né che diventi un’abitudine, ma farlo solo quando se ne sente il bisogno impellente per migliorare la qualità della vita, a puro scopo terapeutico!

Il nuovo comportamento deve essere meccanico, tà tà, e fare il contrario di ciò che si faceva per non esserlo.

Ci si sveglia un mattino con un certo “languorino” in testa?

Chiediamoci: da chi posso trarre, oggi, beneficio? Dal mio vicino di pianerottolo, dal fruttivendolo ladro o da quello stronzo del mio capoufficio?

Il capoufficio? Bisogna stare attenti!

Ma se proprio non se ne può fare a meno: o la va o la spacca! Male che vada, di fronte alla sua reazione, si potrebbe rispondere come il “padrino”: non è una questione personale, sono solo affari... di salute!

Fine Gennaio 2014

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