VI - La Pinuccia
Al mio secondo anno di Università a Catania io avevo conosciuto un ragazzo veneto, di cui non ricordo il nome. Era alto un metro e ottanta e frequentava il mio stesso corso. Lui aveva una ragazza, molto carina, che ci aveva fatto conoscere. Anche lei era studentessa e si chiamava Pinuccia. Questo giovane, spesso, credendo di essere spiritoso, faceva commenti ironici sulla mia bassa statura. Ero, infatti, ben 15 centimetri più basso di lui. Un giorno gli dissi: “Guarda che io sarò piccolo quanto ti pare, ma, se voglio, posso fregarti la ragazza”. Egli rideva incredulo, ma dopo qualche settimana dovette recarsi in Calabria per un mese, dove suo padre, un imprenditore di legnami, stava tagliando un bosco. Cominciai a frequentare la Pinuccia al punto di farmi invitare a casa sua. Lei, figlia di un mediocre avvocato, aveva un maestro di musica che le insegnava a suonare il piano ed io, che riuscivo a suonare qualunque motivo con una sola mano, suonavo mentre lei o il maestro faceva l’accompagnamento. Per lei composi, musica e parole, una canzone, la mia unica composizione musicale, chiamata Dolce Favola. Il maestro la orchestrò e la cantavamo insieme. Non credo avrebbe vinto alcun premio ma aveva completamente conquistato la ragazza. Infatti, dopo 2 o 3 settimane scrisse una lettera al suo ragazzo dicendogli che fra loro era tutto finito perché lei si era innamorata di Totò. Il giovane veneto tornò subito a Catania e mi avrebbe sicuramente picchiato se non fossero intervenuti tutti gli altri amici del nostro gruppo. Da lì a qualche mese lasciò l’università di Catania e si trasferì, penso, a Padova. Continuai a vedere la Pinuccia e dato che allora leggevamo romanzi di autori ungheresi che predicavano l’amore libero e l’abolizione del matrimonio, un giorno lei mi disse: “Visto che noi non dobbiamo mai sposarci perché non facciamo l’amore adesso, invece di limonare?” Cosi cominciammo a far l’amore e, da sprovveduti quali eravamo, non prendemmo alcuna precauzione. Pinuccia, nel tempo libero, lavorava, come assistente presso la farmacia di un suo parente in via Umberto I. Quando un giorno si accorse che le sue mestruazioni ritardavano cercò di preparare farmaci adatti a eliminare una probabile gravidanza. Il farmacista se ne accorse e, mentre lei gli diceva che quelle cose le stava preparando per una sua amica, si affrettò ad informare la sua famiglia. Era il periodo delle vacanze ed io ero a Bronte quando mi fu recapitata una lettera dell’avvocato Albanese di Catania, in cui mi s’imponeva di presentarmi a lui, al più presto possibile, per comunicazioni urgenti. Preso dal panico, raccontai tutto a un mio caro amico, un avvocato brontese. Mi consigliò di andare subito a Catania, mettermi in contatto con la ragazza e convincerla, in qualche modo, a scrivermi una lettera in cui c’erano le frasi: I miei si sono messi in testa che io possa essere incinta e che io abbia fatto l’amore con te. Io so che non è vero e che tu non mi hai mai toccato… etc. etc. Andai a Catania e, attraverso una vicina di casa, feci sapere a Pinuccia che la stavo aspettando alla posta centrale. Arrivò dopo circa un’ora e si capiva che lei aveva raccontato tutto ai suoi. Subito le dissi: Senti Pinuccia, tu lo sai quanto ti voglia bene, ma la mia mamma è una donna all’antica. Lei non sopporterebbe mai che io dovessi sposare una ragazza attraverso ricatti o cose del genere. Ora se tu mi scrivi una lettera dalla quale risulta che tu mi vuoi veramente bene e che sei estranea a qualunque forma di costrizione nei miei confronti, lei non ha alcuna obiezione al nostro matrimonio. Cosi io cominciai a dettarle la lettera che lei scriveva sul banco della posta. Dopo ci siamo baciati affettuosamente, lei è tornata a casa ed io sono andato direttamente a incontrare l’avvocato Albanese. Appena entrato, lui mi dice: “Io conosco tuo padre che è un vero galantuomo, tu non devi essere meno di lui!” - “Avvocato ma di che stiamo parlando?” - “E di che! - fa lui - ... la Pinuccia…” - “Senta avvocato – gli rispondo - “a proposito della Pinuccia. Io sono fidanzato con lei. Ma adesso sento tutte queste storie e sto cambiando idea… Lei mi ha scritto una lettera che le rileggo….” e lessi quella lettera con le frasi che mi aveva suggerito il mio amico. L’avvocato s’impenna: “Questo è impossibile… è diabolico. La ragazza ha confessato a me di aver avuto rapporti sessuali con te…” “Avvocato, faccia quello le piace, - risposi - questi sono i fatti ed io me ne vado”. Mentre uscivo dalla porta del suo studio, notai che l’avvocato era rimasto allibito. Non soddisfatto di questo, prima di tornare a Bronte, andai a casa di Pinuccia a salutarla senza rendermi conto che l’avvocato aveva telefonato per avvertirli. Mi accorsi subito, infatti, che Pinuccia era piuttosto fredda. Subito mi chiese: - “Dov’è la lettera che ti ho scritto?” - “Non ce l’ho!” - “Fammi vedere il portafogli!!” Invece di risponderle cominciai a scendere le scale di corsa mentre lei gridava: ”Vigliacco! Vigliacco!” Dopo alcuni mesi fui chiamato al servizio militare ma quel grido: Vigliacco! Vigliacco! mi ha perseguitato per quasi tutta la mia vita. Fu il più abominevole atto di vigliaccheria che io abbia commesso in vita mia. Per di più, mentre per anni, durante la guerra, non avevo notizie della mia famiglia, mi promettevo che se, alla fine della guerra, avessi trovato tutti i miei familiari sani e salvi, sarei andato a cercare e sposare Pinuccia, anche se nel frattempo, lei fosse diventata una sgualdrina. Invece, tornato a casa e avendo trovato tutto a posto, non sono mai andato a cercarla o a informarmi di che fine abbia fatto. Quanto a vigliaccheria devo considerarmi un professionista ben sopra la media. 27 luglio 2013 VII - Amo l’estate
Anche questo mese si avvia a scomparire. I giorni e le settimane per me stanno diventando sempre più brevi. Lo so che questo è solo una mia personale impressione. Lo scorrere del tempo, infatti, è sempre lo stesso. Tuttavia la percezione del tempo per me è cambiata. Addirittura al contrario di quando ero un bambino. Allora un anno mi sembrava un’eternità. Adesso mi sembra di passare da una stagione all’altra in un attimo. Per quanto, in questi ultimi anni, pare che le stagioni siano diventate solo due: estate e inverno. La primavera e l’autunno sono quasi sparite dal calendario. Io amo l’estate specialmente per la quantità e varietà di frutta che si trova un po’ dappertutto. Quello che venticinque anni fa volevo fare con mia moglie, era di venire in Italia nel mese di Aprile e restarci fino a Settembre. A Ottobre saremmo ritornati in Australia per restarvi fino al prossimo Aprile. Saltare gli inverni per me sarebbe stato come vivere in un paradiso artificiale… Ma mia moglie non condivideva i miei desideri... ecco perché ci siamo lasciati ed io son venuto a vivere in Italia. Pensavo di poter passare qua l’ultimo paio d’anni della mia vita e sono invece qui da venticinque anni… Fortunatamente per me, le mie figliole e i miei nipoti vengono a visitarmi quasi tutti gli anni. E qui in Italia ho avuto una mia straordinaria nipote che, specialmente in questi ultimi e fragili anni, ha saputo coprirmi di tutte le possibili cure che vanno oltre qualsiasi amore filiale. Quanto tempo mi rimane da vivere? Non credo molto. Intanto continuo a scrivere un po’ tutto quello che mi viene in mente. E continuo a giocare a scacchi, quando posso. Il mese entrante viene a visitarmi mio nipote Thomas, il figlio di mia figlia Sandra. E’ un ragazzo un po’ strano. Ma ha molte caratteristiche che io avevo a vent’anni. Gli piace dipingere, suonare e cantare ma ancora non sa decidere cosa fare della sua vita. Io credo che troverà la sua strada e diventerà un uomo di successo in qualunque area vorrà cimentarsi. Lunedì, 28 luglio 2013 VIII - La piccola Lina
Un’altra strana situazione mi è capitata a Milano durante l’anno 1944. Su un altro complesso dello stesso palazzo, dove abitavo io con Beppe Milazzotto e gli altri amici, c’era una famiglia milanese. Di quella famiglia faceva parte la piccola Lina. Aveva diciassette o diciotto anni. Era piccola. Forse quanto mia madre. Passionale. Gelosissima ma piena di tanta effervescente intelligenza e voglia di vivere. Non ho capito mai perché aveva trovato in me il suo principe azzurro. Tutti i giorni mi portava un filoncino di pane preparato con burro e marmellata che io spesso dividevo col Milazzotto. Il pane allora a Milano era un prodotto di enorme valore e difficilmente ottenibile a qualsiasi prezzo, ma la mamma di Lina, un’autentica esperta in contrabbando, aveva tutti i contatti per ottenere qualsiasi cosa. Non potevo guardare un’altra ragazza dello stabile senza che Lina non cominciasse a piagnucolare serate intere, ripetendomi che io non la amavo abbastanza. Facevamo l’amore ripetute volte durante le sera, ma lei era insaziabile. Talvolta fino alla violenza. Quando le persone chiedevano alla sua mamma: “Dov’è Lina?” Lei rispondeva: “Sarà in qualche posto a far l’amore con Totò!”. Era una strana famiglia quella, dove il padre contava quanto il due di coppe, ma la madre era l’asso piglia tutto. La piccola Lina mi ha salvato la vita due volte a Milano attraverso il suo intuito. Spesso venivano i tedeschi a rastrellare i palazzi dove c’erano tanti ex militari. Per ben due volte lei mi trascinò nella cantina del palazzo giusto e diverso da quello dove volevo andare io. Alla fine della guerra io tornai a casa e ai miei studi e lei mi scriveva una lettera al giorno. Scriveva cosi bene… La mia mamma un giorno trovò nella mia scrivania una raccolta delle sue lettere. Dopo averle lette tutte, mi disse: “ Se tu non sposi questa ragazza, il Signore ti punirà!” Ma io avevo già una nuova amante a Catania e non ho mai cercato di sapere che fine ha fatto la piccola Lina. Devo ammetterlo. A volte sono stato un autentico bastardo. 29 luglio 2013 IX – 1/4 di viagra
Certi ricordi mi rattristano altri no. Un recente ricordo è quello del mio 90esimo compleanno. Lo abbiamo celebrato in un ristorante di Maniace. C’erano tanti miei amici e parenti e c’era un animatore bravissimo che cantava e faceva uscire dai suoi altoparlanti dell’ottima musica da ballo e da ascoltare. C’era pure mio nipote Thomas, che era venuto a visitarmi dall’Australia, e che ha fatto un piccolo discorso in inglese molto applaudito, e c’era anche l’avvocato Mimmo Azzia di Sicilia Mondo che ha fatto un lungo discorso circa le mie presunte straordinarie qualità culturali e imprenditoriali, un panegirico di complimenti assolutamente non meritati. Finalmente siamo arrivati al taglio delle torte che erano state preparate da mia nipote Nunzia Gulino, la principale fillettiera di Bronte. In una delle torte c’era l’immagine di una bellissima ragazza seminuda che mi chiedeva se questo non era il momento di conoscerci meglio. “Magari!, dicevo io, ma adesso è troppo tardi”. Una signora mi sussurra nell’orecchio che non è mai troppo tardi: “Adesso c’è il viagra”, disse. Intanto alcune voci gridavano Discorso!! Discorso!! Cosi io ho raccontato una datata barzelletta che avevo sentito di recente: Un vecchietto di ottantaquattro o ottantacinque anni era andato in farmacia e aveva chiesto al farmacista: - “Mi dia quattro pillole di viagra divise in quattro.” Il farmacista gli aveva risposto: “Caro signore, con un quarto di pillola non può ottenere un’erezione. Mi scusi...” - “E chi vuole un’erezione? – rispose il vecchietto - Io ho ottantacinque anni. Io voglio solo che esca un pochettino per non pisciarmi sulle scarpe!” Tutti hanno riso tranne mio nipote Thomas che, non conoscendo l’italiano, si chiedeva perché mai le persone ridessero tanto… Venerdì 2 Agosto 2013 X - Il primo viaggio
Quando io e il mio amico Nunzio Ponzo decidemmo di andarcene in Australia gli altri amici ci chiedevano: “Ma che cavolo andate a fare in Australia? Lì ci vanno solo contadini o artigiani. Siete completamente pazzi.” Queste erano le parole che ci ripetevano continuamente Bruno Minissale ed Aldo Mauro. Bruno era stato mio compagno di scuola sin dall’asilo fino all’università e assieme ad Aldo era legato a noi da un rapporto che andava oltre una normale amicizia. Gli altri studenti chiamavano il nostro: il quadrunvirato. Eravamo sempre insieme… Io ero comunista, Bruno fascista, Aldo democristiano e Nunzio liberale ma nonostante le nostre differenze ideologiche, che ci spingevano a interminabili discussioni, ci volevamo tanto bene ed eravamo sempre pronti a qualsiasi sacrificio pur di difendere il nostro piccolo gruppo. Quando arrivò il giorno della nostra partenza, Nunzio ed io andammo ad imbarcarci a Messina sulla nave Surriento. Avevamo prenotato i nostri posti in una cabina per sei persone ma non abbiamo mai potuto dormirci dentro perché gli altri quattro occupanti, forse, calabresi, avevano nelle valigie chissà che cosa e, la puzza di piedi e di formaggi in fermentazione, in quella cabina, era insopportabile. Il viaggio era durato circa un mese ed era stato tremendo. Il cibo ti faceva venire la voglia di digiunare per sempre. Assolutamente immangiabile, a volte schifoso. Dopo alcuni giorni di viaggio, tanti di noi giovani ci siamo ribellati e il responsabile del cibo sulla nave decise di distribuirci panini con un po’ di companatico al posto del cucinato. Per circa un mese Nunzio, io e molti altri giovani abbiamo mangiato, quasi esclusivamente, panini con sottaceti. Comunque, su quella nave io incontrai uno dei migliori amici della mia vita. Il suo nome è Fred Lax, un ingegnere polacco di qualche anno più vecchio di me, che vive ancora a Sydney con sua moglie Alberta da Roma. Fred, un ebreo non credente, si era laureato in Italia e parlava un italiano quasi perfetto. Ma parlava pure russo, polacco e abbastanza inglese da potermi fare da interprete nei miei primi mesi in Australia. Domenica 4 agosto 2013 XI - Aiuattist?
Il mio primo lavoro a Sydney, o per essere più precisi, il mio secondo lavoro, perché avevo lavorato per qualche settimana in un negozio italiano di frutta e verdure, fu in una grande fabbrica che faceva tantissimi prodotti di metallo. Fui assegnato alla sezione che faceva scatole di latta per tabacco da pipa. In quel gruppo, tranne me, erano tutti australiani. A mezzogiorno ci fermavamo un’ora per la colazione ed io, dopo aver mangiato il mio panino nei primi cinque minuti, non potendo parlare con nessuno, aprivo un quaderno e cercavo di disegnare qualcosa o delle facce che mi sembravano caratteristiche. C’era una donna di mezza età che veniva a chiedermi continuamente qualcosa che suonava come: “aiuattist?” Ed io ripetevo: “No understand.” Era tutto l’inglese che conoscevo. Dopo alcuni giorni conobbi un calabrese che lavorava in un altro reparto della stessa fabbrica. Egli parlava inglese e gli chiesi di venire a vedere che cosa voleva da me questa donna. Durante la successiva colazione venne nel nostro reparto e dopo aver parlato con la donna, mi disse: “Lei voleva sapere se sei un artista e se sai modellare delle cose con l’argilla perché suo cognato ha una fabbrica di manichini e cerca qualcuno per questo lavoro”. Da ragazzo, avevo un po’ giocato con dell’argilla modellando in bassorilievo la testa di Mussolini, alcuni fiori e altra roba del genere, perciò le dissi che ero capace di fare queste cose. Mi diede l’indirizzo della fabbrica e il sabato seguente, io e il mio amico Fred, andammo a trovare questo signore che fabbricava manichini. Era una piccola fabbrica in cui lavoravano circa dieci persone e uno di loro parlava abbastanza bene l’italiano. Il padrone mi mostrò una mano di donna fatta con la plastica e mi chiese se fossi capace di modellare una mano come quella con diverse posizioni delle dita. Alla mia risposta affermativa mi diede quella mano come modello e un pacco di argilla. L’appuntamento era per l’altro weekend. Non vi dico quanto ho lavorato quella settimana, ma tutti i pomeriggi, tornando dal lavoro, trovavo quasi tutte le dita staccate dalla mano o comunque sformate dallo straccio umido che mettevo sopra. Infine ho arrotolato tutto in un foglio di giornale e il sabato, accompagnato sempre dal mio amico Fred, andai a riportare tutto alla fabbrica di manichini. Mentre Fred spiegava al padrone che non ero stato capace di modellare una mano come quella che avevo riportato, lui stava osservando attentamente, in quei mozziconi di dita, come io avevo copiato le unghie e il dorso delle dita e cominciò a ridere. Prese del fil di ferro e cominciò a fare uno scheletro della mano e dopo mi fece dire di riprovare con quello. Dopo aver preso coscienza di quanto ero stato ingenuo e sprovveduto, ci provai e riuscii finalmente a fare una copia, quasi perfetta, della mano che lui mi aveva dato. Mi rendo conto che questa storia sta diventando troppo lunga e noiosa… Voglio solo aggiungere che il padrone di quella piccola fabbrica mi fece sapere che mi avrebbe dato quattro ghinee (quattro sterline e quattro scellini) per ogni paio di mani da me consegnate. Ora, considerando che, nel mio lavoro, guadagnavo solo sette sterline la settimana, quell’offerta mi sembrò favolosa, soprattutto perché per modellare un paio di mani, impiegavo non più di quattro o cinque ore. Fu così che, licenziatomi dalla fabbrica di scatole per tabacco, diventai un modellatore di manichini. Infatti, dopo le mani, ho modellato anche teste di bambini, di donne, di giovani e persino di piccoli animali, conigli e coala che si vendevano nelle bancherelle delle fiere. 5/8/2013 XII - La sentenza
La situazione in Italia si sta complicando troppo. In cassazione hanno condannato Berlusconi, non solo a quattro anni di carcere ma anche all’interdizione alla sua candidatura. La magistratura lo ha condannato per reati fiscali compiuti dalle sue aziende. Questo è molto problematico poiché Silvio Berlusconi è ancora il capo del partito che sta governando l’Italia assieme al partito democratico. Non si capisce bene come si potrà uscire da questa impasse. A Ottobre ne vedremo delle belle. Intanto Grillo vuol salvare l’Italia solo dicendo parolacce. Il governo Letta sta facendo benino, ma a piccoli passi, certe volte veramente impercettibili. Ci vorrebbe più coraggio per correggere i troppi vizi degli italiani. Il marcio non è solo nella politica, nella magistratura e nel pubblico impiego. E' dappertutto. Bisogna riformare la mentalità degli italiani. Bisogna che gli italiani reimparino a diventare operosi, produttivi, competitivi e meno chiacchieroni. Finiamola di sentirci geniali e superiori agli altri. Se veramente siamo cosi intelligenti, dimostriamolo inventandoci un lavoro, un’occupazione, senza cercare un posto di lavoro con la solita raccomandazione politica. Io sono molto vecchio adesso e fortunatamente i miei figli e nipoti vivono in un paese totalmente diverso dall’Italia. Però, io amo l’Italia. La amo al punto di aver lasciato la mia famiglia in Australia pur di vivere qui i miei ultimi anni. Solo una reale pacificazione tra i due grandi partiti al governo può salvare l’Italia dal disastro che sta vivendo ed è ora che possa concretarsi, anche in Italia, una vera alternanza al governo del paese per risolvere i tanti problemi che lo affliggono. 7/8/2013 XIII - Il negozio di frutta
Sono incerto su cosa scrivere oggi. Nella mia mente ci sono troppe cose in campo. Vorrei addirittura sfogarmi e prendermela sul serio con ambedue i partiti al governo, che, invece di fare quelle leggi draconiane che possano rimettere in carreggiata questa povera Italia, continuano a fare tanto casino circa il destino di un senatore, anche se il suo nome è Berlusconi. Sono stanco del continuo chiacchiericcio in televisione di cosi detti giornalisti e politici da strapazzo che parlano… parlano…, spesso contraddicendosi, sempre attaccando qualcuno o qualcosa, senza rendersi conto che l’Italia ha bisogno di fatti e di serie riforme, non di chiacchiere. Comunque, non sono affari miei. Alla mia età, della politica non me ne frega proprio niente. Infatti, adesso mi sto ricordando di quello che facevo durante i primi mesi del mio arrivo in Australia. Il mio primo lavoro è stato in un negozio di frutta e verdure al centro commerciale di Sydney. Era uno dei più famosi negozi di frutta in quella città. Apparteneva a un certo signor Donato, considerato, forse erroneamente, il più ricco degli italiani di Sidney. Era particolarmente famoso per l’ottima insalata di frutta che produceva e metteva in vendita a mezzogiorno per i tanti impiegati che lavoravano negli edifici vicini e che uscivano nell’ora della colazione. A quell’ora il negozio diventava affollatissimo, soprattutto di ragazze che venivano a consumare l’insalata di frutta che anche io avevo aiutato a preparare. Io restavo dietro il bancone a lavare i piatti poiché, non conoscendo l’inglese, non potevo servire. Un ragazzo messinese, che lavorava lì, diceva in inglese alle ragazze: “Vedete quel giovane che lava i piatti? Lui è un dottore!” Alcune ragazze venivano a chiedermi qualcosa ed io, non sapendo come rispondere, dicevo solo: “No understand”. Dopo qualche settimana lasciai quel lavoro per trovarne uno dove nessuno parlasse italiano. Pensavo che solo cosi avrei potuto imparare l’inglese. Però l’inglese io l’ho imparato soprattutto andando al cinema. Ascoltavo attentamente le parole, senza cercare di seguire le storie. E dopo un po’ ho cominciato a distinguere il significato di alcune parole e quando ho cominciato a esprimermi in inglese tante persone mi chiedevano se io fossi stato in America prima di andare in Australia. Evidentemente, dai tanti film americani che io avevo visto, avevo acquisito tante parole e anche l’accento. Una grande soddisfazione l’ho ottenuta dopo dieci anni di permanenza in Australia. Un giorno giocando a bocce e conversando con un negoziante australiano, questo mi dice: “Sam, I know you are italian, but you were born here, right?” (Sam, io so che tu sei italiano, ma tu sei nato qui. Giusto?). Non male, pensando che avevo cominciato ad imparare l’inglese quando avevo trent’anni. 9/8/2013 XIV - 8 Settembre, l’armistizio
Nel Luglio dell’anno 1943 Mussolini era stato arrestato, e il giorno otto di Settembre fu firmato l’armistizio. Il piccolo re Vittorio Emanuele, assieme al generale Badoglio, nuovo capo di governo, fuggirono nel sud Italia, già in mano agli americani, lasciando l’esercito e l’Italia allo sbando. Intanto Mussolini, liberato dai tedeschi, fondava la Repubblica Sociale italiana con capitale Salo’. Io mi trovavo allora in un paesino della Toscana che si chiama Fornacette e facevo parte della seconda compagnia di allievi ufficiali, andata in quel luogo a completare il corso. Infatti, a Fornacette sostenni i miei ultimi esami per diventare sottotenente, esattamente il sette settembre, il giorno prima dell’armistizio. Ricordo l’episodio piuttosto ridicolo capitatoci il giorno nove settembre. Il comandante della nostra compagnia era un certo tenente Santangela. Non saprei proprio come definirlo…, era un napoletano particolarmente scemo. Il nostro compito era di disarmare i tedeschi, nostri nuovi nemici. Il Santangela ci fece appostare nell’area di una vecchia chiesetta sconsacrata e trasformata in stalla. Sopra la mangiatoia dell’asino c’era ancora un affresco raffigurante una Madonna col Bambino. Tutti gli allievi erano stesi fuori a scacchiera sull’erba, con i moschetti e le pallottole in canna, pronti ad una ipotetica battaglia. Io, l’unica vedetta, ero nascosto dietro il muro mentre il tenente era dentro la chiesa. Ad un certo punto sulla strada appare una macchina dalla quale esce un soldato tedesco e viene dritto verso la chiesa. Mi vede e chiede: “Dove essere tuo comandante?” Io chiamo il tenente e gli dico che c’è un tedesco che vuole comunicare qualcosa. Il tedesco gli intima di depositare immediatamente le armi. Il nostro coraggioso tenente gli dice che noi eravamo solo allievi ufficiali in esercitazioni e gli offre subito la sua pistola. Il tedesco prende ognuno dei nostri fucili e gli rompe il calcio sbattendoli con forza su in grosso sasso che si trovava nel giardino. Tutti i fucili avevano una cartuccia in canna perciò ci aspettavamo che da un momento all’altro partisse un colpo e uccidesse il soldato che afferrava i fucili per la canna prima di sbatterli sul sasso. Invece non successe assolutamente niente. Un solo soldato ha portato tutta la nostra compagnia sulla strada e ci ha inquadrato per portarci non so dove. L’altro soldato tedesco non è mai sceso dalla macchina. Comunque, la gran parte di noi siam fuggiti nei boschi circostanti e siamo andati a finire nell’enorme pineta di Livorno al centro della quale c’erano tantissimi alberi di fichi. Per giorni ci cibammo con le bucce dei fichi che gli uccelli avevano lasciato dopo averli svuotati del contenuto. In una cascina ai bordi della pineta, un contadino toscano, in cambio della divisa, mi aveva dato un paio di pantaloni terribilmente laceri, una camicia altrettanto squarcia e alcune patate bollite. Con queste io mi ero messo in testa di raggiungere Sassuolo dove avevo una camera in affitto e decenti abiti da borghese. Il viaggio fu un incubo: ad ogni fermata c’erano tedeschi che rastrellavano tutti i militari in divisa che si trovavano sul treno. Arrivati a Modena vidi tanti soldati tedeschi sulla panchina della stazione. Me ne andai verso la fine del lunghissimo treno e dopo essere sceso, m’incamminai in una viuzza della periferia di Modena. Alla fine della strada intravidi un tedesco, perciò suonai al portone più vicino a me. Una giovane signora mi aprì e mi chiese cosa volessi. La pregai di aiutarmi spiegandole la mia situazione. Mi fece accomodare al primo piano e mi preparò una tazza di latte con del magnifico pane emiliano di cui non dimenticherò mai il sapore. Mentre mangiavo quel cibo divino, lei mi rattoppava i pantaloni. Più che una signora mi sembrava un angelo. Dopo avermi sfamato, mi ha indicato come raggiungere la ferrovia per andare a Sassuolo, dove arrivai dopo qualche ora e dopo una meravigliosa doccia ristoratrice, indossai il mio abito borghese che avevo in quella camera sin dall’inizio del corso. 24/8/2013 |